Dal Campo Giovani 2018

Sapete qual è stata la cosa che più mi ha colpito di Agape? È un posto pensato per l’incontro: tutto ti trascina giù, verso il salone, verso il dialogo e la vita comunitaria, è il posto stesso che ti impedisce di isolarti. E chi più di noi giovani ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa? Siamo saliti e salite con queste domande in testa, su e più su per la strada tortuosa in cerca di qualche risposta, in cerca di confronto con altri e altre che ci fossero simili.

Durante il Campo Giovani, che si è tenuto ad Agape nel mese di novembre, abbiamo discusso e affrontato più aspetti dell’adultità e, in particolar modo, vorrei soffermarmi sull’attività del gioco di simulazione. È stato un vero e proprio viaggio nel futuro: ci siamo seduti a gruppetti nel salone e abbiamo giocato a viaggiare nel tempo; chiusi gli occhi, ci siamo proiettati e proiettate sempre più avanti, di anno in anno, aiutati da una meditazione collettiva coordinata dal microfono di staffisti e staffiste. Nel momento in cui abbiamo riaperto gli occhi, eravamo immersi e immerse in una nuova realtà. Eravamo sempre noi stessi: eppure, proiettati in questa nuova vita, ci siamo trovati a raccontarci con quegli stessi amici l’accaduto in questi anni passati. Ad ogni nuovo risveglio ci venivano assegnati “imprevisti” che potevano sconvolgere da cima a fondo ciò che ci eravamo immaginati, esattamente come nella vita di tutti i giorni. È stato difficile, durante i primi turni, immaginarsi così in avanti nel tempo (anche solo di un anno: riuscireste ad immaginare l’accaduto di un anno intero?) ma piano piano è diventato sempre più coinvolgente e automatico, esattamente come se le cose fossero accadute davvero. Fino ad un punto di rottura e di conclusione, in cui abbiamo dovuto immaginarci una (per fortuna) fittizia e traumatica chiusura di Agape, a un punto in cui ormai tutti avevamo superato il 2060. Quest’attività, come tutte le altre, ci ha avvicinato ad un concetto astratto e complesso, l’adultità.

La domanda di apertura del campo Giovani 2018 recitava:

“Sei in grado di considerarti completamente Adulto? Per quali aspetti e fattori la tua risposta è stata sì o no? Sarai avvolt* da una sensazione di totale spaesamento, nessun problema! Avessimo la risposta a tutto non potremmo porci nessuna domanda, e che mondo sarebbe?”

Che nessuno e nessuna si senta solo in questa impresa che deve essere, anzi, affrontata insieme. Un campo pensato per i giovani e le giovani, creato da coloro che si sentono giovani dentro, uno spazio dedicato a tutti coloro che si sentono intrappolati “nel mezzo”.

Stella Faggioli

Il volontariato ad Agape tra servizio, formazione e internazionalità – Intervento di Valeria Lucenti

Riportiamo l’intervento di Valeria Lucenti in occasione dell’intervento on-line sul tema del volontariato per il ciclo di eventi on-line Agape Invita. E’ possibile rivedere l’incontro zoom sulla pagina facebook di Agape Centro Ecumenico.

Il volontariato nella sua dimensione Europea e Internazionale: come si pone Agape nei confronti di opportunità e risorse alle quali accedere che inquadrano il volontariato in modi specifici?

Da subito volontariato ad Agape ha anche significato internazionalità. La dimensione internazionale del volontariato nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale si è fortemente caricata del significato di riconciliazione, un’opportunità per conoscere e incontrare la diversità e dentro un contesto di vita comunitaria saperla apprezzare e valorizzare. Il volontariato era un modo per costruire la pace e imparare di nuovo a vivere insieme, lavorando e vivendo negli spazi di comunità del centro, un forte strumento di integrazione e inclusione. Ricordiamo che i primi campi di lavoro per la costruzione del centro mettevano insieme persone che avevano militato come partigiani a fianco a persone con un passato fascista, o che già nel 1948 arrivò un gruppo di volontari tedeschi, quando erano ancora visibili nelle borgate i segni delle rappresaglie dell’esercito nazista. Ad Agape quindi in volontariato non può non essere internazionale perché l’internazionalità è uno dei significati del progetto stesso. 

Oggi questa dimensione rimane in tutti gli ambiti di Agape dal CG al campolavoro(volontari di breve periodo), dal gruppo residente ai gruppi staff (volontari che organizzano i campi). Agape ha mantenuto questa dimensione internazionale coltivando negli anni i rapporti storici come quelli con le chiese tedesche o il wscf, e cercandone di nuovi come quello con Lunaria, Oikosnet o altre reti o progettazioni Europee. La dimensione internazionale ad Agape arricchisce enormemente il discorso della diversità, mettendoci di fronte alla complessità dei temi che affrontiamo nei nostri campi, ricordandoci che siamo frutto di contesti culturali e storici specifici dei quali dobbiamo essere consapevoli, proprio di fronte alla diversità che questa dimensione ci porta. Allo stesso modo per le persone straniere che frequentano il centro, l’occasione di volontariato rappresenta un’opportunità di conoscenza e crescita rara, poiché ad Agape si viene in italia ma anche in un villaggio internazionale in mezzo alle Alpi, così come per gli e le italiane Agape offre un contesto straordinariamente internazionale per situarsi in un paesino di 200 abitanti in mezzo alle montagne, un contesto rurale e periferico che vive ogni anno da 70 anni la presenza di volontari da tutto il mondo. 

Nella dimensione Europea il volontariato è soprattutto un’opportunità per imparare e per conoscere, per crescere, per diventare indipendenti. In particolare negli anni di promozione del volontariato si è molto riflettuto sulla dimensione dell’apprendimento non-formale. Si è lavorato in particolare per la definizione degli obiettivi di apprendimento, definendo una serie di competenze trasversali e di competenze chiave. Attorno alle competenze chiave, le 8 key competences si è sviluppato lo youth pass unico certificato che a livello Europeo riconosce la partecipazione a un processo di apprendimento di educazione non formale. Il certificato fa parte di un processo di autovalutazione, eventualmente accompagnato dal supporto di un tutor o mentor, dove è il volontario stesso quindi a valutare la riuscita del progetto e il raggiungimento degli obiettivi educativi. Nel contesto Europeo è quindi considerato molto importante il lavoro di valorizzazione del potenziale formativo del volontariato, e come questo può essere riportato nelle esperienze successive, per la costruzione di percorsi di vita, di lavoro di studio. 

La formalizzazione dei percorsi di volontariato è positiva nella misura in cui assicura una massima tutela dei partecipanti, e cerca di lavorare in direzione di un riconoscimento maggiore di questi percorsi di crescita e apprendimento nella società. Oggi fare volontariato non è valorizzato dalla società a più livelli: università, mondo del lavoro, famiglie, dove è considerato uno spreco di tempo, una deviazione dai binari istituzionali di crescita e formazione. Formalizzare i percorsi significa dar loro valore e farli riconoscere, un processo che in Germania ha avuto l’esito di far riconoscere le esperienze di volontariato per l’iscrizione all’Università, per esempio. Nell’ultimo periodo forse si può dire che si registra un aumento dell’interesse in percorsi di volontariato, poiché in alcuni casi effettivamente sono esperienze che hanno portato all’acquisizione di competenze base e trasversali utili anche nel mondo del lavoro, e soprattutto sono esperienze pratiche in cui i partecipanti si mettono in gioco in prima persona, soprattutto se si tratta di percorsi in un paese straniero, e di lungo periodo dove quindi il volontario si rende indipendente dal proprio contesto di origine.  

Il volontariato così inteso è molto vincolato rispetto al grado di assunzione di responsabilità del partecipante, sembra più essere un servizio al volontario che non all’ente, a un’idea a un progetto. Il ribaltamento è abbastanza formalizzato con accordi e contratti anche in direzione di massima tutela del partecipante, nel senso positivo di non cadere nello sfruttamento. Oggi alcuni programmi sembrano più simili a tirocini o avviamento al lavoro, con contratti e molti livelli di formalizzazione. In alcuni di questi casi però si rischia di perdere il senso dell’impegno, dello scambio tra ente ospitante e volontario, della restituzione con il proprio impegno volontario, il senso del servizio e di vocazione che ha molto caratterizzato i primi anni del progetto Agape, e che anche oggi dove viene coltivato rappresenta una delle motivazioni più forti alla partecipazione al progetto.

Agape aderendo a questi programmi offre qualcosa di più a chi partecipa, un inquadramento più riconosciuto, tutele in più, accessi a servizi come assicurazioni o corsi di lingua, però rischia di perdere in termini di contenuti, di impegno, di servizio. Ad Agape alcuni volontari hanno anche molte responsabilità ma questo viene spesso vissuto come terreno stimolante nel quale crescere e mettersi alla prova, un’opportunità che raramente può capire nella società a persone anche molto giovani. Se ben accompagnati il carico di responsabilità può essere un volano per una crescita sostanziale e significativa. Avere diverse tipologie di volontariato, ovvero essere volontari aderendo a diversi tipi di programmi o fuori da qualsiasi programma ufficiale, ad Agape può portare complicazione nella gestione di un gruppo che lavora insieme, ma con trattamenti diversi. I modi diversi di partecipazione come volontari, influiscono infine anche sul senso di una scelta, e sulla motivazione alla base della propria scelta. E’ anche vero però che accedere a diverse opportunità aprirebbe Agape a maggiori canali di contatto, che potrebbero portare volontari da diversi background, scardinando la dinamica di autoreferenzialità di cui sempre si discute, immettendo nuove risorse, nuovi stimoli e idee, offrendo il proprio progetto a più persone e sicuramente ricevendo contributi inediti e preziosi.  

E dunque la discussione è aperta e chiede ad Agape di interrogarsi su come rinnovare la propria vocazione al volontariato e su come relazionarsi con modi e concezioni diverse di volontariato. Potremmo quindi lasciarci con delle domande: Agape dovrebbe scegliere in base alle opportunità che può offrire ai giovani con l’adesione a  programmi di volontariato Europei e internazionali o dovrebbe invece ragionare su quale valore vuole dare al volontariato e quindi operare scelte critiche che possono significare anche non sfruttare alcune opportunità? Agape potrebbe invece rivendicare un modo di fare volontariato (come le modalità dei campi) e diventare soggetto dialogatore con le istituzioni per portare una prospettiva diversa e per aumentare il riconoscimento del volontariato in italia e fuori?

Il volontariato ad Agape tra servizio, formazione e internazionalità – Intervento di Marzia Disarò

Riportiamo l’intervento di Marzia Disarò in occasione dell’intervento on-line sul tema del volontariato per il ciclo di eventi on-line Agape Invita. E’ possibile rivedere l’incontro zoom sulla pagina facebook di Agape Centro Ecumenico.

Il volontariato come occasione di formazione: il volontariato come percorso di crescita personale e professionale, di apprendimento e di acquisizione di competenze. Cosa offre Agape oggi?

Ciao io sono Marzia Disarò, frequento Agape da quasi quasi quarant’anni, come ha detto Daniele, direi che in questo momento le due parole che associo ad Agape sono libertà e apprendimento. Libertà perché è in questo luogo e nelle proposte di vita che offre che io mi sento effettivamente libera nelle parole e nelle azioni, libera nel senso di non essere giudicata. Non che ad Agape si viva in assenza di giudizio ma credo si cerchi di offrire degli spazi di valutazione delle azioni e non delle persone.

E la parola apprendimento è legata all’essere attiva e al rendere effettive e viventi le nozioni e le conoscenze che ad Agape si trasmettono.
Perché parlo di apprendimento e non di formazione? Devo dire che per rispondere ho davvero cercato i due significati e in sintesi la parola formazione vuol dire dare forma e in ambito pedagogico si utilizza per definire un processo più o meno complesso attraverso cui trasmettere informazioni e metodologie di azione alle persone si tratta quindi di offrire delle occasioni che possano essere uno stimolo alla crescita delle persone che partecipano.

L’apprendimento invece (secondo la Treccani) è “il processo di acquisizione e di modificazione di capacità e abilità comportamentali degli organismi viventi animali e umani, nel corso delle esperienze nell’ambiente.”  Ovvero si considera che una persona abbia appreso qualcosa solo quando nel suo comportamento si possono osservare dei cambiamenti.

Questo significa che per apprendere occorre essere attivi e attive e imparare a modificare i propri comportamenti e il proprio modo di vita. Agape attraverso il volontariato offre delle occasioni di formazione, offre delle opportunità, sta a noi raccogliere queste opportunità trasformando la formazione in apprendimento.
Il volontariato e la formazione ad Agape viaggiano quindi insieme. In qualche modo non ti è permesso di vivere ad Agape, anche solo per il breve periodo di un campo o di un incontro, senza un momento in cui impari o insegni qualcosa. 

Dove un progetto di volontariato ad Agape si trasforma in occasione di formazione?Proviamo a vedere insieme nei diversi progetti come il volontariato diventa occasione di formazione.


Il periodo di residenza 

  • offre una formazione professionale si impara a cucinare per decine di persone e si acquisiscono competenze professionali a livello di menù, diete, igiene e sicurezza alimentare, 
  • mantenere il centro accogliente e sicuro, quindi competenze sul corretto uso di detersivi e attrezzature;
  • lavorare in un ufficio con competenze sull’utilizzo di programmi informatici, comunicazione, archiviazione,
  • mantenere il centro con apprendimento di competenze riguardo sicuramente all’utilizzo di attrezzature per esempio Everardo, il fresaneve, ma anche rispetto al periodismo dei lavori di manutenzione legato alle stagioni d’inverno la neve, d’estate l’erba e prima dei campi la manutenzione che permette di rendere il centro accogliente
  • ma offre anche competenze trasversali poiché al gruppo residente è chiesto di:
  • ma offre anche competenze trasversali poiché al gruppo residente è chiesto di:

ma offre anche competenze trasversali poiché al gruppo residente è chiesto di:

  • lavorare in autonomia e normalmente in maniera individuale nel periodo di chiusura e quindi si deve imparare a gestire il proprio tempo dandosi delle scadenze e degli obiettivi
  • e gestire i gruppi di campolavoro nel periodo in cui il centro è aperto e qui si apre non solo il centro ma un mondo: per gestire un gruppo di lavoro occorre aver acquisito molte competenze anche se di solito le persone non se ne rendono conto immediatamente:
    • si deve aver chiaro cosa fare e quando farlo 🡪 gestione del tempo non proprio ma delle altre persone
    • si deve saper trasmettere quale lavoro e perchè  🡪 capacità di motivare le persone nel fare lavori che possono anche non essere considerati importanti (tipo la pulizia degli strumenti utilizzati per pulire)
    • ascolto e attenzione alle persone  🡪 capacità di rendersi conto se qualcosa non va e offrire se non delle soluzioni quantomeno un ascolto
    • comunicazione e relazione 🡪 occorre saper condividere ciò che avviene in un settore con le persone che ci lavorano ma anche con il resto del gruppo residente e spesso anche con le persone che sono ospiti di Agape per un campo

Il periodo di Campo Lavoro è un’altra occasione di formazione. Si acquisiscono competenze nei vari settori in cui si lavora ma soprattutto occorre mettersi in gioco per vivere la relazione con le altre persone e come detto all’inizio l’apprendimento è un percorso che ti cambia e che modifica il tuo modo di stare al mondo e credo che davvero dopo ogni periodo di campo lavoro ad Agape ognuno e ognuna di noi torni a casa avendo acquisito nozioni o modi di fare nuovi. 

Può essere installare sul proprio computer WhatsApp web, cucinare una torta salata come si fa ad Agape, utilizzare delle tecniche di animazione per far parlare a turno colleghe di lavoro o le proprie classi di studenti, e potremmo andare avanti con gli esempi.

E poi ci sono i gruppi di lavoro e i campi. Ogni campo si propone come occasione di formazione perché uno degli obiettivi è proprio quello di scoprire qualcosa di nuovo e apprendere dalle esperienze delle altre persone modificando così, anche solo di poco, le proprie abitudini di vita.

Ma come facciamo a riconoscere e dare valore ai percorsi di volontariato che si svolgono ad Agape?
Il volontariato internazionale e anche il servizio civile universale hanno definito delle modalità per certificare le competenze chiave acquisite e la RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 dicembre 2006 definisce otto competenze chiave per l’apprendimento permanente che sono considerate ugualmente importanti nel contribuire a una vita positiva nella società della conoscenza. E si tratta di:

  1. comunicazione nella madrelingua; 
  2. comunicazione nelle lingue straniere; 
  3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 
  4. competenza digitale; 
  5. imparare a imparare; 
  6. competenze sociali e civiche; 
  7. spirito di iniziativa e imprenditorialità;
  8. consapevolezza ed espressione culturale. 

Nei percorsi di volontariato di Agape alcune competenze secondo me emergono. Si tratta di quelle relative alla comunicazione nella propria madrelingua e nelle lingue straniere, alle competenze digitali, sociali e civiche, alla consapevolezza ed espressione culturale. Ma una su tutte emerge in modo particolare e si tratta dell’IMPARARE A IMPARARE.
Facendo volontariato ad Agape e/o partecipando in qualunque ambito: residenza, campi, campo lavoro, gruppi di interesse, viene richiesto di mettersi in gioco e di scoprire ciò che ci sta attorno e ciò che noi possiamo modificare a partire dal nostro modo di essere per influire sul mondo. 

Questo tipo di competenza ovvero imparare ad imparare non è affatto scontata perché spesso noi diciamo di voler restituire ad Agape molto di ciò che ci dato ma nella restituzione c’è sempre un processo di apprendimento perché nel momento in cui io faccio qualcosa, se mi metto davvero in relazione con altre persone, quel qualcosa che sto facendo si modificherà con l’apporto delle persone con cui agisco.
E quindi io credo che un filone di lavoro di Agape sia proprio quello di cercare dei modi per dare valore a tutte le competenze che noi acquisiamo nei nostri percorsi di volontariato ad Agape. E come farlo?

Avevamo iniziato prima della pandemia a predisporre delle attestazioni per la partecipazione

  • ai campi considerati formativi e soprattutto spendibili all’esterno quali: spazi sicuri, formazione;
  • ai percorsi di staff: quali competenze potremmo certificare a chi agisce all’interno di una staff? potremmo offrire una certificazione che prenda in carico le acquisizioni in ambito di animazione e educazione non formale
  • al gruppo residente: alla fine della residenza si potranno quantomeno avere gli attestati relativi alla formazione cogente (obbligatoria) in ambito di salute e sicurezza sul lavoro, igiene e sicurezza alimentare (Haccp); alle competenze acquisite relative alla gestione delle risorse proprie e altrui ovvero gestione del tempo, gestione dei conflitti, gestione dei team di lavoro.

Potrei parlare di Agape e della relazione tra Agape, volontariato e formazione credo ancora per molto più tempo perché sono convinta che l’apprendimento sia un aspetto intrecciato alla vita di Agape e alla relazione con le persone che qui si incontrano e anche con il luogo che ci permette di staccare dal nostro quotidiano e guardare ciò che ci sta intorno, natura, persone, comportamenti con occhi liberi dalle convenzioni quotidiane e con la voglia di scoprire altro da noi

Grazie mille per la vostra attenzione.

Il volontariato ad Agape tra servizio, formazione e internazionalità – Intervento di Sofia Vineis

Riportiamo l’intervento di Sofia Vineis in occasione dell’intervento on-line sul tema del volontariato per il ciclo di eventi on-line Agape Invita. E’ possibile rivedere l’incontro zoom sulla pagina facebook di Agape Centro Ecumenico.

La riflessione sul volontariato ad Agape deve necessariamente essere guardata attraverso una serie di temi; ed è importante tenere a mente che ognuno di questi temi ha una variabile costante, che è la soggettività. Agape è comunità, lo sappiamo. Ma è anche soggettività. Ognuno/a di noi ha vissuti e motivazioni diverse del suo essere parte di Agape. Durante un comitato avevamo avuto una discussione discretamente accesa con un direttore: il tema era proprio questo. Che cosa è Agape? Che cosa è per me Agape?

Io sono convinta che se ci facessimo questa domanda, avremmo risposte diverse tra loro. Che variano anche con il ciclo di vita, oltre che in base alle direzioni, al gruppo residente, al meteo, al mondo là fuori. 

Che cosa è Agape per me? Non saprei. E’ il mio posto. Ed è il vostro. E’ un luogo. E’ memoria. E’ dolore. Amore. Morte. Legami. Cultura. Malinconia. Ma è volontariato? Si dice che restituiamo ciò che abbiamo ricevuto.  Si parla di servizio. Servizio nei confronti di chi? A nome di chi? 

Mi sono sempre chiesta se sia così per tutti e tutte. Io per esempio non l’ho mai vissuto come una forma di volontariato; quella è una dimensione che sento quando sono in Croce Verde, oppure quando rispondevo al centralino di un Centro Antiviolenza. Se non è volontariato cosa è stato per me stare dentro ad Agape per questi trenta e passi anni? E cosa vorrà mai dire “stare dentro ad Agape”?

Molti parlano di famiglia. E in un certo senso ci sta, perchè in una famiglia condividi il linguaggio, le abitudini, gli spazi, le fragilità. E soprattutto alcuni parenti non te li scegli, ma devi per forza imparare a conviverci. Questo per chi è stato residente, campolavorista a lungo termine, o anche soltanto messo in stanza con la persona “sbagliata” è un tema.  Ragionando su Agape in quanto famiglia, a me viene in mente quella famiglia raccontata in alcuni libri o nei film, disfunzionale, con la zia pazza e il nonno alcolista. Fatta di grandi pranzi, di colpi di scena, di psicodrammi, di accoglienza ed esclusione. Di aneddoti imbarazzanti, di non detti, di regole, di dichiarazioni. Di rituali, di usi e costumi, di clichè, di certezze.  Anche Agape è fatta di queste cose. 

E allora cos’è che ci riporta sempre qui? Chi ce lo fa fare? Forse un senso di appartenenza? Di familiarità? Di condivisione? Credo che più che esplorare il concetto di Agape come famiglia, sia interessante ragionare su quello di familiarità, che può essere un paradosso se pensiamo a tutte le culture e le differenze che convivono (più o meno pacificamente) in questo luogo. Eppure.

C’è anche i tema degli affetti, ovvio. RIvedo i volti, ascolto le voci e torno lì. COme sentire una musica. Tra i temi accennerei anche a quello di luogo, inteso come contenitore, mura, struttura.  Ognuno di noi sa che tra quei muri incontrerà un modo di stare nelle cose che ci è familiare, indipendentemente da chi fisicamente sarà lì. Ed ecco che torniamo al concetto di familiarità. Inteso forse nel senso di prevedibilità? In effetti anche decenni dopo, quando entri nel salone di Agape, sai sempre più o meno cosa aspettarti.

Quanto conta il luogo nella scelta di prestare il proprio tempo ad Agape? E quanto conta il luogo nelle nostre memorie? Sarà forse per questo motivo che trasformarlo provoca così tanta reticenza ( e con trasformalo intendo sostituire le coperte del 15-18 con delle trapunte, tirare giù degli alberi pericolanti, intervenire sulle crepe e su questioni strutturali legate alla sicurezza, etc)? Perchè quello è un luogo di memoria? La memoria di chi?

Tra l’altro anche il luogo vissuto non è lo stesso per tutti. Se ci chiedessimo quali luoghi sono Agape per noi, credo che ascolteremmo tante risposte diverse. Il salone, casa residenti, il bosco, il prato davanti, le casette, il saloncino, il bar.

Agape per me è sicuramente esperienza. Relazione, certo. Spazi. Ma forse esperienza è la parola che sento di più ora. E l’esperienza è la cosa più soggettiva che c’è. Anche quando condivisa. Spesso pensiamo che le esperienze fatte ad Agape siano più o meno le stesse. Non è sempre vero. E questo ha a che fare anche la scelta di contribuire al lavoro di Agape e in che forma. 

Se io ho fatto un’esperienza positiva come precadetta, è più probabile che avrò voglia di vivere quell’esperienza anche da altri punti di vista (come staffista, per esempio). Se avrò vissuto delle settimane di campolavoro divertenti, coinvolgenti, emozionanti è possibile che io scelga di trascorrere più tempo ad Agape, magari come residente. Per cui direi che l’esperienza vissuta influenza decisamente la nostra decisione di continuare. Tornare. Servire.

Quante volte abbiamo parlato del fatto che alcuni campi adulti siano delle isole, slegate dal mondo Agape? E quanto tempo abbiamo speso per accorciare questa distanza? (ci siamo riusciti abbastanza, mi pare). Ora mi chiedo: nel loro essere isole, la forza generativa di questi campi può essere intesa come bacino di volontariato? Insomma, si può intendere volontariato ad Agape un volontariato speso all’interno sempre dello stesso campo (vedi i campi di genere)?

Questo ci riporta alla domanda iniziale: Che cosa è Agape? E di conseguenza che cosa è il volontariato ad Agape? Quanto la mia esperienza soggettiva, intrecciata ai luoghi, al tempo, ai temi, al periodo, influenza la mia scelta di fare volontariato ad Agape?

Alcuni di noi hanno trascorso parte della loro vita dedicando del tempo ad Agape, in forme diverse. Intrecci relazioni, costruisci memoria, acquisisci competenze. Cresci. E osservi le altre persone crescere, cosa che per quel che mi riguarda è sempre un grande privilegio (per esempio, guardare il video di Chiara, in un evento in cui Daniele modera, per me è la risposta a tutto). 

E’ un tempo di tregua. E’ un tempo di crisi. E’ un tempo di riflessione. Di costruzione. Di messa in discussione. E’ un tempo di significati. E’ un tempo di privilegio. 

La dimensione del tempo è affascinante, per me, proprio perchè è davvero molto soggettiva. Alcuni di noi hanno trascorso una vita ad Agape, altri soltanto qualche settimana. La quantità del tempo ne modifica la qualità?

Ci sono relazioni che ho vissuto ad Agape con persone con le quali ho condiviso due, tre settimane al massimo. Ma il fatto di aver fatto determinate esperienze (come la staff) insieme, ci ha permesso di costruire un legame che nulla a che fare con la quantità di tempo trascorso insieme. 

Allo stesso modo mi chiedo: è la quantità di tempo speso per Agape a fare di noi dei buoni volontari, o la qualità? E che cosa è un buono o una buona volontario/a?

Sempre riflettendo sul tempo, per molti Agape è Presente. L’esperienza contingente a un determinato periodo. Il volontariato all’estero. Le due settimane di cazzeggio con gli amici. Questo presente qui diventerà progettualità futura? E come possiamo favorirne il suo rigenerarsi?

A volte Agape mi sembra tanto Passato e poco Futuro. Inteso come il luogo in cui sono successe delle cose, più che il luogo in cui farne succedere altre, diverse. Può essere che siamo fermi in questo presente, fatto di tanto passato e poco futuro?

Forse una riflessione sul volontariato oggi ad Agape deve ripartire da qui.
Un tempo Agape poteva essere il luogo in cui sperimentare, incontrare nuovi mondi, ascoltare lingue diverse, entrare in contatto con culture, ideali.

Oggi forse è il luogo in cui fermarsi. Approfondire. Stare. Fare esperienza di un tempo presente, fatto di piccole cose e poche relazioni. A contatto con la natura, lontano dalla stimolazione continua di un mondo che di mondi ne offre troppi. Un antidoto al mondo di oggi, post pandemico, di solitudini e di individualismi.
Se rivediamo il senso di Agape, uscendo dal passato (ma non dalla memoria) e gettandoci verso il futuro, quale nuova forma di volontariato possiamo vedere? E se Agape viene intesa innanzitutto come luogo di esperienza di volontariato, non ha forse senso ripartire da qui? Quali esperienze cercano oggi le persone?

Il volontariato ad Agape tra servizio, formazione e internazionalità – Introduzione

Riportiamo l’introduzione dell’evento on-line sul tema del volontariato ad Agape, a cura di Daniele Parizzi che ha moderato l’evento. L’evento si è svolto all’interno del ciclo di eventi on-line Agape Invita. E’ possibile rivedere l’incontro zoom sulla pagina facebook di Agape Centro Ecumenico.

Vorrei cominciare il nostro incontro non dalle montagne piemontesi, e non dal 1951, bensì dalla Sicilia e dal 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale. In Sicilia in quegli anni vi è un giovane architetto venticinquenne che, interrotti gli studi per la guerra, è sottotenente sul fronte. Il suo nome è Leonardo Ricci. Egli racconta di aver partecipato in quel periodo a una disperata fuga nella notte, nella quale tanti sconosciuti tutti insieme cercavano di raggiungere il continente superando con delle zattere lo stretto sorvegliato da mille fucili. Il primo rifugio che trovarono appena sbarcati fu una galleria, nella quale si ritrovavano insieme uomini distrutti e affamati, e anche alcune donne e alcuni bambini. Ricci guardando la galleria pensò che quella fosse “più città della città d’oggi, più quartiere dei quartieri popolari, più casa delle case con frigidaire e lavapiatti”; il sentimento era quello di essere “tutti insieme nella stessa barca, come se la terra fosse una “nave navigante nello spazio” che raccoglie tutti insieme nello stesso unico villaggio verso la stessa unica meta”.

Questa è l’idea con cui Leonardo Ricci, quattro anni dopo, arriverà ad Prali: realizzare una città, un villaggio comunitario, uno spazio in cui l’essere insieme prevalga sui sentimenti individuali, in cui non ci siano personalismi ma ciascuno e ciascuna partecipa a un progetto collettivo. Per questo intitolerà, nel 1965, il suo libro più noto “Anonimo”: perché, come dice all’interno dell’opera, “in questo nuovo mondo non c’è posto per voi geni perché le cose che faremo insieme saranno più belle, importanti e grandi di quelle fatte da voi.”

Ad Agape, Ricci era un architetto sui generis, in quanto disegnava pochissimo, riproducendo le proprie idee in semplici schizzi. In compenso partecipava al cantiere e discuteva con lavoratori e lavoratrici. Agape sembrava essere un cantiere infinito, un sogno che non si sarebbe mai avverato. Il metodo costruttivo era molto artigianale e i progetti subivano costantemente modifiche. Erano le stesse persone, lì volontariamente, che da un lato proponevano modifiche e dall’altro realizzavano il lavoro. Racconta sempre Ricci che “la visione cantieristica in molti lavoratori provocava una sorta di timore del definitivo, del concluso, mentre il fascino dell’esperienza del campo di lavoro nasceva proprio dalla dimensione progettuale dell’impresa. Vincere la sfida contava più che realizzare il programma. Il fascino dell’idea e l’impasto di fatica e soddisfazione contavano più del muro finito”.

Il progetto era oggetto di critiche da parte di tutti. Si era cominciato a costruire senza denaro, il budget iniziale era 70.000 lire, equivalenti oggi a non più di 1.500 euro, si costruiva solo attraverso il lavoro volontario, in un luogo difficile da raggiungere, nel quale non c’era neanche una strada, che venne realizzata come una delle ultime cose prima dell’inaugurazione.

Nei primi tempi, la costruzione era sempre una continua avventura, una continua invenzione, una continua scoperta: innanzitutto si cercò di inventare una teleferica che funzionasse senza motore, cioè a contrappeso, con due cassoni, uno pieno d’acqua e uno con i materiali da tirare su. Era complesso da usare: mettendo poco peso, il carico ascendente si fermava e era molto faticoso tirarlo su “a braccia”. Mettendone troppo, saliva come un proiettile e infatti una volta spaccò la stazione di arrivo e ruppe la gamba al teleferista. Questa teleferica lavorava ventiquattro ore su ventiquattro, giorno e notte per portar su tutti i materiali occorrenti alla costruzione.

Nei primi anni, mancando i soldi per pagare il cemento, furono volontari e volontarie a fare la calce. Per farlo venne riparato un vecchio forno in disuso, costruito a forma di torre rotonda. Un gruppo di sette giovani per due mesi lavorò al forno, prima sradicando radici per avere il calore più forte, poi trasportando il legno, scavando e trasportando il minerale, caricandolo nel forno; poi lasciandolo dieci giorni e dieci notti con il fuoco continuo per portarlo ad alta temperatura. In questi dieci giorni e dieci notti il calore era infernale, e i giovani rimanevano lì per ravvivarlo. Chi si avvicinava al forno si bagnava prima con un secchio d’acqua per sopportarlo, poi buttava un legno, con un bastone lo spingeva dentro e balzava subito fuori, fumante. Tullio Vinay racconta che questo forno si trovava a tre ore di cammino da Prali e che lui tutti i giorni faceva questa strada a piedi per controllare il lavoro e sostenere moralmente questi sette giovani. Produssero alla fine 250 quintali di calce viva. Racconta Vinay: “quando ebbi il primo pezzo in mano, a me pareva di aver l’Agape in pietra. Ecco, avevan fatto il loro motto: “tutto per Agape”, Niente conta, tutto per Agape.”

Agape InVita

E’ iniziato il 3 Aprile 2021 il ciclo di incontri on-line Agape InVita su diversi temi chiave del progetto Agape. Gli eventi si svolgeranno nei prossimi mesi fino al periodo estivo, affrontando argomenti quali il volontariato, la formazione, il genere, l’architettura, la spiritualità, la politica, e altro ancora. Sul blog di Agape Immaginaria riporteremo dove possibile materiali realizzati per l’occasione. Per sapere quando verranno realizzati i prossimi incontri seguici sui social, scrivici una mail e iscriviti alla nostra newsletter, per i nostri contatti visita il sito: www.agapecentroecumenico.org

Dai cadetti al campolavoro

Sono Andrea, un diciannovenne torinese.

Dopo anni di militanza agapina nei campi per minori, quest’estate ho finalmente potuto far parte del gruppo di campolavoro.

Devo ammettere un certo timore iniziale: era la prima volta che mi trovavo da solo, senza la stretta cerchia di amici con cui avevo condiviso fino ad allora quell’esperienza. Non sapevo se diventare grande mi sarebbe piaciuto (spoiler: mi è piaciuto).

Arrivato in agosto, durante il Campo politico internazionale, sono stato accolto con affetto e gentilezza. Assegnato al gruppo di pulizie ho iniziato subito a lavorare. Lavorare per gli altri, lavorare per Agape mi ha fornito un’altra prospettiva: quel mondo che pensavo ormai di conoscere in ogni suo più piccolo dettaglio, visto con occhi diversi mi ha stimolato a voler mettere sempre più passione in ciò che faccio e nel tempo che dedico ad Agape.

Pulizie, cucina e Bar: non sono mai stato fisso in un settore e ho potuto vivere a pieno l’esperienza da campolavorista.

Ma ciò che caratterizza veramente l’essere campolavorista, il vero cambiamento, è dato dalle persone: infatti, i campi per minori sono per lo più frequentati da torinesi, milanesi o, tutt’al più, da abitanti del centro Italia. Finché frequenti i Campi cadetti la conoscenza più esotica che puoi fare è con un cittadino della bassa bergamasca; la musica cambia con la maggiore età.

I campisti dei campi per adulti, i residenti e i campolavoristi stessi coprono buone porzioni di mondo. È facile incappare in un discorso tra un congolese e un brasiliano, fare una partita a calcetto con due giapponesi o stendere i panni con un gruppo di argentini. È solo allora, quindi, che ci si confronta davvero con il prossimo, che si esce dalla calda e accogliente zona di comfort che noi tutti ci creiamo e ci si mette in gioco.

Conoscere persone, conoscere culture, avvicinarsi al prossimo è il conclamato obiettivo di Agape: è solo vivendola a pieno che lo si raggiunge.

Andrea Scalenghe, ex cadetto, campolavorista e autore dell’articolo


Quando i residenti fanno la Retraite

Poco dopo l’arrivo di tutti i membri del nuovo gruppo residenti, c’è una settimana speciale. La retraite! È una settimana che serve per conoscere gli altri e le altre e anche Agape. Serve anche a stabilire alcuni obiettivi e decidere in che settore lavorare.

La sera prima della retraite era già importante, perché abbiamo conosciuto alcuni amici di Agape. Per me è stato un ottimo inizio della retraite, perché Agape non è solo un luogo, ma anche la gente. Quello è stato il modo migliore per impararlo. In seguito abbiamo dato il benvenuto all’ultimo membro del gruppo: Steven!

Finalmente eravamo tutti e tutte insieme. Abbiamo iniziato ogni giornata con una breve meditazione. È stato un buon modo per cominciare il giorno, soprattutto perché la retraite serve anche a capire cosa vuoi veramente da quest’anno.

Tra le varie cose da imparare sulla struttura di Agape (il che è stato complicato, un po’ noioso ma molto importante), siamo anche uscit* insieme per divertirci un po’, per esempio per raccogliere castagne (in realtà è finita con chiacchiere sotto il sole 😉 non era ancora il momento per le castagne). Siamo anche andat* insieme alla corale. È stato molto interessante conoscere gente di Prali. Molti e molte di noi hanno deciso di unirsi alla corale, a testimonianza di quanto sia piaciuta questa serata.

Una parte importante, per chi non si trova spesso in Italia, è conoscere il cibo. Quindi abbiamo anche passato un po’ di tempo per farlo, andando a mangiare in un ristorante. Pizza e birra sul divano mentre si guarda un film (che abbiamo deciso insieme, cosa difficile!): una combinazione perfetta!

Una parte grande durante la retraite, e per me la più importante, è stata conoscere gli altri e le altre. Abbiamo fatto molte cose come lavori di gruppo. Ogni residente si è guardato dentro e poi si è presentato/a. È una cosa difficile condividere cose private con persone che si conoscono da poco tempo. È stato emozionante, ma penso che dopo ci conoscevamo tutt* meglio. Mi sono sentita più connessa con gli altri residenti, e ho sentito meno “muri” tra di noi, “muri” che è normale avere, quando si incontrano persone sconosciute. I giochi sulla fiducia sono stati difficili ma sono serviti a costruire sicurezza nel gruppo.

Dopo esserci conosciuti e conosciute meglio, il passo successivo era decidere come si svolgerà il prossimo anno. Abbiamo parlato dei  nostri obiettivi e condiviso le nostre speranze e paure. Di nuovo è stato difficile aprirsi in questo modo, ma anche incoraggiante, perché ci siamo aiutat* a vicenda per la loro gestione. “fiera della mucca” è il nome che è stato dato alla parte in cui abbiamo deciso chi lavorerà dove. Un buon nome che parla da sé. 😛

Con l’ultimo giorno di retraite abbiamo iniziato la routine futura: assemblea e pulizie di casa residenti. Un lavoro settimanale.

In fine posso dire che per me la retraite è stata un buon modo per approcciarmi a tutte queste cose. Benché sia stata a volte molto emozionale, e a tratti poco interessante, è stata una settimana molto importante. Ci siamo sentit* tutt* più conness* e in questo momento è nato uno spirito di gruppo. In seguito, credo, abbiamo iniziato a capirci meglio, e sono sicura che, durante l’anno, riusciremo a trovare insieme le soluzioni ai problemi. Ora siamo il “gruppo residenti” e ora (soprattutto dopo la retraite) sono sicura che venire qui sia stata una delle migliori decisioni della mia (ancora corta 😉 ) vita.

Ciao a tutti,

Victoria.

Tutto pronto per l’inizio del nuovo anno in casa Residenti

È il 13 Ottobre 2018 e mentre vi raccontiamo un po’ del nostro inizio si comincia a sentire un buon profumo di patate con brie e prosciutto e fuori il sole lascia il posto alla luna e alle infinite stelle della notte Agapina. Innanzitutto ci presentiamo: siamo il nuovo Gruppo Residente e, oltre a Direttore e Vicedirettora, siamo 3 ragazzi e 6 ragazze provenienti da Italia, Germania, Serbia e Colombia. Come forse già saprete alcun* di noi sono qui da uno o addirittura due anni, ma altr* sono qui solo da poche settimane, e il grande salone vuoto in questo posto lontano dalla società un po’ spaventa e un po’ affascina tutti e tutte, vecchi e nuove.

Ringraziamo gli ex residenti Luca, Kaća e Viktor, e Chilo che hanno finito il loro servizio ad Agape. La loro partenza ha un po’ destabilizzato chi di noi era qui già l’anno scorso, ma dopo circa due settimane passate tra arrivi, partenze e ferie di varie persone, abbiamo organizzato un piacevole aperitivo a Torino, siamo andat* tutt* insieme a Caselle per l’arrivo dell’ultimo nuovo residente e ci siamo tuffat* nella settimana di retraite, parlando di noi, meditando e provando a farci un’idea sul funzionamento di Agape, e ora possiamo finalmente dire che la nostra vita da residenti è iniziata per davvero. Chiara, Dominik, Fulvio e Olga, che hanno già vissuto almeno un inverno qui, in questi giorni cercano un po’ di passare ai “nuov*” le loro conoscenze e un po’ di farsi venire in mente lavori che possano essere eseguiti insieme ma non siano rivoltanti come pulire le canaline esterne o quelle di Cucina e Servizio (che intanto detergiamo impeccabilmente, aspettando con ansia di avere idee più piacevoli); Marie, Victoria e Višnja, lavorando in centro con i “vecch*”, iniziano ad adattarsi e ad apprezzare il lento ritmo dell’autunno Agapino e cominciano a pensare che non vedranno mai un salone popolato e che il Campo Lavoro sia solo una leggenda; e infine l’ufficio, quest’anno rinnovato, è ormai diventata la calda dimora di Milica e Steven, che, dopo aver imparato i fondamenti del loro nuovo lavoro e aver avuto a che fare con le prime iscrizioni, sono talmente dentro alla mentalità dell’ ufficio che iniziano a dimenticare di fare alcune pause caffe, smettono di lavorare quando suona la campana che chiama le persone per la cena.

Per quanto riguarda la casa, invece, le camere si sono ripopolate e sono quasi tutte completate, mentre il salotto passa in continuazione da essere luogo di rilassante rifocillamento a ospitare il calore del caminetto e delle canzoni cantate suonando la chitarra o gruppetti di persone che, a ritmo dei classici delle ultime estati, alzano la musica al massimo e iniziano a ballare come pazzi e pazze, trasportando in casa un po’ dell’energia tipica delle feste agapine (per ora senza lamentele da parte di altr* residenti che forse preferirebbero riposare ma che comunque sembrano godersi il clima allegro). Insomma, qua su va tutto bene e l’anno è iniziato in maniera tranquilla, ma noi Residenti non vediamo l’ora di ospitare i diversi gruppi e campi di questo autunno e inverno e con essi campolavoristi e campolavoriste che speriamo vengano in nostro aiuto, quindi se vi ricordate di non aver nessun impegno nei weekend di Novembre e a Dicembre e vi va di venire a lavorare e a godervi un po’ Agape con noi, scrivete all’ufficio e salite subito che dato che stiamo pulendo ora la canaline non rischiate di dover fare nulla di disgustoso .

Grazie per esservi interessati e interessate e aver letto fino in fondo questo breve racconto, ci vediamo presto!

Il gruppo Residente.

La realtà sospesa di Agape

Il volto di Cristo e il Regno di Dio

Ogni storia comincia con qualcosa. La storia di Agape comincia con Tullio Vinay: Scolpiamo sulle rocce dei nostri monti il volto di Cristo – con queste parole viene avviato il progetto Agape. Il Centro Ecumenico Agape nel suo aspetto fisico ha preso forma ormai da tanto tempo; Agape è scolpito nei monti, esiste. Anche la nostra personale storia di Agape comincia lì, nei monti, tra i suoi muri. Ci scorgiamo però il volto di Cristo, il pensiero iniziale? Vediamo in Agape la testimonianza di Dio nel nostro mondo?

Probabilmente durante la sua costruzione si vedeva questa testimonianza incisa nei suoi muri, quando dava a centinaia di giovani donne e uomini la possibilità di realizzare qualcosa più grande della propria realtà. Non costruivano Agape, ma costruivano la propria comunità, che era un’utopia, un’idea senza luogo che rendeva visibile la presenza di un Dio che ama. Nonostante questa comunità si fosse costruita dei muri e un tetto per essere ospitata, era rimasta un’utopia in costruzione, un outopos: se voleva essere segno visibile della presenza di Dio, non si poteva fermare con la costruzione dei muri ma doveva indicare qualcosa oltre se stessa: un mondo migliore ancora da definire.

Se parliamo oggi della visibilità del volto di Cristo, non possiamo fare altro che usare questi termini: poter rendere visibile il pensiero iniziale di Agape creando un luogo dove tutti e tutte coloro che ardono per Agape possano costruire la loro comunità – nella consapevolezza che la comunità non è soltanto obiettivo, ma messaggio e mezzo per raggiungere un obiettivo al di là del visibile. Il messaggio è un Dio che ama e un mondo da amare; l’obiettivo è il mondo migliore ancora da definire, il Regno di Dio come promesso da Gesù, ancora non visibile – ma sempre presente, nel sogno e nell’obiettivo comune, come una scintilla ardente. Ogni tanto riusciamo a vedere questa scintilla, nelle varie realtà di Agape e ci innamoriamo di quel qualcosa da definire. Di questo nostro amore e di questa nostra storia di Agape vorremmo raccontarvi oggi.

 

Lo spirito di Agape

Venendo ad Agape per la prima volta sentiamo una magia – o spiritualità, o comunità, insomma qualcosa – e cerchiamo delle parole per descriverlo, trovando queste parole nel cosiddetto “spirito di Agape”. Chiamiamo “spirito di Agape” quello che ci fa tornare ad Agape una volta messo piede sulle sue rocce. Tanto è facile evocare lo spirito di Agape, quanto è intangibile nel momento in cui lo vogliamo definire: sembra una entità astratta, perché non è collocabile, né nel Gruppo Residente, né nel Campolavoro, né nelle staff, né nei comitati. Così come non si può spiegare Agape soltanto con il luogo visibile ma dovendo aggiungere la somma delle idee trattate, delle persone presenti e ancora qualcosa in più, così è onnicomprensivo anche lo spirito che aderisce a questo posto: legato a ogni persona che costruisce Agape con il proprio servizio, le proprie idee e ancora qualcosa in più.

Da questo pensiero vediamo affluire l’illimitatezza di noi stessi: sentiamo di poterci fare coinvolgere nelle diverse realtà di Agape e in queste possibilità vediamo la promessa di poter essere noi stessi, cioè di realizzare noi stessi all’interno di una struttura che ce lo permette. In questi termini, la frase costitutiva di Agape, scritta nella Chiesa all’Aperto – L’amore non verrà mai meno (1Cor 13,8) – ci suona come la seducente promessa immensa e infinita di libertà. E ci godiamo questa libertà con tanti altri e tante altre, ci godiamo la piacevole rassicurazione che Agape è il nostro sogno, aperto alle nostre idee e alle nostre esigenze.

Quel sogno ci accoglie e comincia ad assorbire il nostro entusiasmo autocentrato. Pian piano capiamo che Agape non è il nostro sogno. È qualcosa di molto diverso e al contempo simile: è il sogno altrui. Con questa rivelazione la nostra esaltazione lascia spazio a qualcosa al di là di noi stessi e noi stesse: ci rendiamo conto della concezione utopica di Agape; cominciamo a vedere Agape come mezzo per una realtà oltre di noi. Ed è qui che la promessa di libertà cambia radicalmente: è ancora immensa, ma immensa nelle possibilità che richiedono il nostro impegno. È ancora infinita, ma infinita nei termini della nostra finitezza nel poter contribuire.

Più di voler essere accogliente per tutte e tutti, il concetto dello spirito di Agape comincia quindi a essere una chiamata all’ordine: cosa porto veramente ad Agape? Adatto Agape a un sogno mio e alle esigenze mie o mi adatto al sogno di Agape e alle sue esigenze? Il sogno di Agape non è più una fuga dal mondo, il posto per trovarmi ed essere me stesso, me stessa. Tuttavia sentiamo profondamente l’impatto di queste due domande sulla nostra esistenza, cambiano il significato che Agape ha per noi e ci cambiano la vita, perché cambiano la nostra prospettiva sul mondo.

 

Agape come mezzo: fede per chi crede e per chi non crede

Il più grande impatto di Agape lo vediamo nella persona di fronte a noi: non è più l’altro, l’altra ma è nostro fratello, nostra sorella, è nostra madre, nostro padre, è nostro figlio, nostra figlia. Vediamo agire questa persona e sappiamo che il suo agire è radicato profondamente in quello che non riusciamo a vedere – cerchiamo almeno di leggerla con questa ottica, sapendo che le nostre azioni sono le prime ad aver bisogno di una tale lettura. Sentiamo parlare questa persona e sappiamo che nel suo parlare risuona ciò che non riusciamo a sentire – proviamo almeno ad ascoltarla in questo modo, sapendo che le nostre parole sono le prime ad aver bisogno di un tale ascolto. Intravediamo la scelta di questa persona e sappiamo che le sue ragioni sono molto più ampie del nostro giudizio – vogliamo almeno valutarle con questa ragione, sapendo che le nostre scelte sono le prime da mettere sotto un giudizio clemente.

Tentando un tale punto di vista corriamo un rischio, perché questo ci mette in una posizione di debolezza. Fidandoci senza condizioni di una persona che non conosciamo, ci togliamo tutte le armi di difesa. Il nostro cuore aperto è la premessa per accogliere ciò che è nascosto, ma il nostro cuore aperto è anche una ferita: una volta aperto alla persona di fronte a noi non possiamo più chiuderlo. Siamo scoperti quando non si tenta di leggere la profondità delle nostre azioni, quando non si tenta di ascoltare la risonanza delle nostre parole, quando non si tenta di valutare le nostre scelte con clemenza. Questa debolezza però è indispensabile per un dialogo non legato al visibile ma al possibile, ci è richiesta in quanto la comunità di Agape si è creata con l’apertura dei nostri cuori, ci è permessa in quanto la comunità di Agape si è consolidata proteggendo chi apre il proprio cuore; e la comunità, costituita nuovamente in ogni singolo momento di debolezza, ci dà la forza di continuare e di offrirle il meglio di noi.

L’utopia per noi comincia a esprimersi nel nostro modo di guardare, ascoltare, valutare; tramite la nostra debolezza diamo possibilità a una realtà nuova: la fiducia nella persona di fronte a me diventa la fede che nel mondo viva il bene, la fede che la creazione sia voluta buona. E questa fede ci cambia la vita, perché ci dà un cuore nuovo, uno spirito nuovo: ci dà un cuor vivo (Ez 36,26). Permettendoci di vivere con questo cuor vivo e aperto, ferito e non difendibile, e accettando la nostra debolezza, la realtà nuova che creiamo in ogni momento diventa un mondo migliore. E dando questo contributo, credente o no, il Regno di Dio comincia a scintillare nel nostro amore e nell’amore altrui.

 

Agape come messaggio: speranza portata al mondo

Agape ha cambiato, quindi, il nostro punto di vista. Abbiamo anche scoperto che Agape ha un punto di vista proprio, condiviso: anche questo punto di vista è caratterizzato dalla tensione tra ciò che è visibile e ciò che non è visibile. Abbiamo visto che Agape, durante la propria esistenza, ha sviluppato un approccio verso le persone basato su quello che la persona porta in sé come potenzialità: ci rivolgiamo più a ciò che è possibile che a ciò che appare. Fidandoci della promessa e della possibilità del mondo migliore, dell’utopia, ad Agape sperimentiamo il tentativo di vedere in chi arriva la promessa di ciò che non c’è ancora.

Agape cambia il nostro punto di vista e, al contempo, ci fa sentire che il punto di vista su di noi è profondamente cambiato: Agape si è messo sul nostro cuore come un sigillo (Ca 8,6), ci ha messo in un contesto nuovo. Quel nuovo contesto, vedere nella nostra vita la possibilità dell’utopia, la scintilla del Regno di Dio, ci fa diventare un messaggio: non siamo più diretti a noi stessi, dirette a noi stesse, ma al mondo migliore; non siamo più chi siamo, ma chi possiamo essere. Troviamo le impronte di quel sigillo in noi e negli altri e altre e vediamo che queste impronte sono rivolte al futuro, al nostro e quello delle altre e degli altri.

Viviamo le impronte di Agape come un segno, un segno invisibile. Ci identifica come parte necessaria di una comunità: non siamo soli in quello che facciamo e non cerchiamo noi stessi e noi stesse in quel che facciamo, bensì gli altri e le altre. Questo segno ci identifica, però, anche come persone delegate di questa comunità: non facciamo quel che facciamo per noi stesse e noi stessi, ma per un futuro possibile, per una persona possibile, per un mondo possibile. Il segno di Agape ci chiama a rivolgerci non a noi o soltanto alla nostra comunità, ma verso qualcosa più grande di noi e della nostra comunità: l’impronta di Agape che ci ha segnato per tutta la nostra vita, che ha cambiato il nostro punto di vista, che ci ha permesso di vederci nelle nostre possibilità, è il messaggio che portiamo al mondo con piedi simili a quelli delle cerve negli alti luoghi (Sal 18,33). Vediamo che il sigillo non è soltanto sul nostro cuore ma anche sul nostro braccio, e capiamo che non abbiamo deciso di portarlo ma che siamo stati chiamati e state chiamate a vedere un mondo possibile.

 

Agape come obiettivo: l’amore nella comunità

Il mondo possibile, però, non esiste. Proviamo a dargli forma, luogo, visibilità nella nostra comunità, ma non esiste ancora. La nostra comunità, con tutto il suo entusiasmo, il suo amore, i suoi sogni, è realtà. È parte del mondo come tutto ciò che vogliamo far evolvere, tutto ciò che vogliamo superare, tutto ciò che vogliamo abbandonare. La realtà di Agape è fragile e noi viviamo in una realtà fragile anche se siamo indirizzati verso il mondo migliore. Dobbiamo reagire a questa realtà che non è l’utopia sognata, facciamo parte del mondo che non è il Regno di Dio.

Abbiamo visto, però, una scintilla di ciò che non siamo; abbiamo visto la città posta sopra un monte (Mt 5,14). Abbiamo visto la scintilla e ci siamo sentite chiamate e chiamati a cercarla, ad accoglierla nella fragile realtà di Agape. Quando ci siamo innamorati del sogno che unisce la comunità abbiamo accettato la promessa di cercarlo, di renderlo possibile. E questa promessa ci ha fatto nascere la speranza, una speranza delicata, che dobbiamo ritrovare ogni giorno di nuovo: che il fallimento, il fallimento continuo non ci allontana dal nostro sogno ma ci avvicina a esso.

Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante (Is 62,1): La nostra storia d’amore ha avuto un inizio, tanti inizi – ma una fine non ce l’ha. È diventata l’entità plasmante della nostra vita. Abbiamo sentito una chiamata e la seguiamo: fallendo, dovendo stare nella realtà e non nei nostri sogni, ma pieni e piene di amore per quello che facciamo, cercando di avvicinarci a quello che abbiamo visto insieme.

 

Agape: una storia d’amore

Ogni storia comincia con qualcosa. Con un momento, un pensiero, uno sguardo. Siamo arrivati ad Agape e abbiamo imparato a vedere il possibile, abbiamo trovato un posto che dava luogo a ciò che non aveva un luogo. Ad Agape abbiamo vissuto la testimonianza di un futuro da costruire, abbiamo visto una scintilla di un’idea grande che ci attira e abbiamo sentito lo spirito di una realtà possibile che ci spinge; ne abbiamo trovato tracce sui nostri cuori, abbiamo trovato un segno del Regno di Dio.

Sono tanti gli inizi che abbiamo trovato per cominciare la nostra storia d’amore con Agape e ogni inizio è prezioso in quanto ci ricorda in un solo momento tutto l’amore per questo posto e la sua comunità. È prezioso nei momenti pesanti, quando ci sembra di portare tutto il peso della realtà sulle spalle senza poter neanche immaginare un sollievo. È prezioso nei momenti di debolezza, quando ci sembrano infinitamente distanti il sogno che ci chiama e la nostra esistenza. È prezioso quando le tracce dell’amore nei nostri cuori sembrano soltanto ferite, quando la nostra chiamata sembra segnare non i nostri sogni ma la nostra vita.

Ha tanti inizi la storia d’amore con Agape. È una storia piena di fallimenti, di debolezza e di limiti. Ma abbiamo visto come il nostro fallimento si è trasformato in una nuova possibilità, abbiamo visto come la nostra debolezza ha rinforzato la comunità. E abbiamo visto che i nostri limiti non erano più barriere ma soltanto trapassi tra me e la persona di fronte a me, tra noi e la comunità. È in questi momenti che abbiamo visto veramente cosa sia possibile: che noi, nella nostra realtà, possiamo vedere oltre noi stesse e noi stessi, possiamo sognare per gli altri e per le altre, possiamo accogliere Dio – perché è Dio che ci ha accolto, nel nostro mondo, nella nostra comunità, e ci ha dato un amore, un amore eterno per abitare i nostri giorni ovunque ci chiami.

Malte Dahme

Sara Marta Rostagno

Direzione di Agape Centro Ecumenico