Sono Andrea, un diciannovenne torinese.
Dopo anni di militanza agapina nei campi per minori, quest’estate ho finalmente potuto far parte del gruppo di campolavoro.
Devo ammettere un certo timore iniziale: era la prima volta che mi trovavo da solo, senza la stretta cerchia di amici con cui avevo condiviso fino ad allora quell’esperienza. Non sapevo se diventare grande mi sarebbe piaciuto (spoiler: mi è piaciuto).
Arrivato in agosto, durante il Campo politico internazionale, sono stato accolto con affetto e gentilezza. Assegnato al gruppo di pulizie ho iniziato subito a lavorare. Lavorare per gli altri, lavorare per Agape mi ha fornito un’altra prospettiva: quel mondo che pensavo ormai di conoscere in ogni suo più piccolo dettaglio, visto con occhi diversi mi ha stimolato a voler mettere sempre più passione in ciò che faccio e nel tempo che dedico ad Agape.
Pulizie, cucina e Bar: non sono mai stato fisso in un settore e ho potuto vivere a pieno l’esperienza da campolavorista.
Ma ciò che caratterizza veramente l’essere campolavorista, il vero cambiamento, è dato dalle persone: infatti, i campi per minori sono per lo più frequentati da torinesi, milanesi o, tutt’al più, da abitanti del centro Italia. Finché frequenti i Campi cadetti la conoscenza più esotica che puoi fare è con un cittadino della bassa bergamasca; la musica cambia con la maggiore età.
I campisti dei campi per adulti, i residenti e i campolavoristi stessi coprono buone porzioni di mondo. È facile incappare in un discorso tra un congolese e un brasiliano, fare una partita a calcetto con due giapponesi o stendere i panni con un gruppo di argentini. È solo allora, quindi, che ci si confronta davvero con il prossimo, che si esce dalla calda e accogliente zona di comfort che noi tutti ci creiamo e ci si mette in gioco.
Conoscere persone, conoscere culture, avvicinarsi al prossimo è il conclamato obiettivo di Agape: è solo vivendola a pieno che lo si raggiunge.