Dai cadetti al campolavoro

Sono Andrea, un diciannovenne torinese.

Dopo anni di militanza agapina nei campi per minori, quest’estate ho finalmente potuto far parte del gruppo di campolavoro.

Devo ammettere un certo timore iniziale: era la prima volta che mi trovavo da solo, senza la stretta cerchia di amici con cui avevo condiviso fino ad allora quell’esperienza. Non sapevo se diventare grande mi sarebbe piaciuto (spoiler: mi è piaciuto).

Arrivato in agosto, durante il Campo politico internazionale, sono stato accolto con affetto e gentilezza. Assegnato al gruppo di pulizie ho iniziato subito a lavorare. Lavorare per gli altri, lavorare per Agape mi ha fornito un’altra prospettiva: quel mondo che pensavo ormai di conoscere in ogni suo più piccolo dettaglio, visto con occhi diversi mi ha stimolato a voler mettere sempre più passione in ciò che faccio e nel tempo che dedico ad Agape.

Pulizie, cucina e Bar: non sono mai stato fisso in un settore e ho potuto vivere a pieno l’esperienza da campolavorista.

Ma ciò che caratterizza veramente l’essere campolavorista, il vero cambiamento, è dato dalle persone: infatti, i campi per minori sono per lo più frequentati da torinesi, milanesi o, tutt’al più, da abitanti del centro Italia. Finché frequenti i Campi cadetti la conoscenza più esotica che puoi fare è con un cittadino della bassa bergamasca; la musica cambia con la maggiore età.

I campisti dei campi per adulti, i residenti e i campolavoristi stessi coprono buone porzioni di mondo. È facile incappare in un discorso tra un congolese e un brasiliano, fare una partita a calcetto con due giapponesi o stendere i panni con un gruppo di argentini. È solo allora, quindi, che ci si confronta davvero con il prossimo, che si esce dalla calda e accogliente zona di comfort che noi tutti ci creiamo e ci si mette in gioco.

Conoscere persone, conoscere culture, avvicinarsi al prossimo è il conclamato obiettivo di Agape: è solo vivendola a pieno che lo si raggiunge.

Andrea Scalenghe, ex cadetto, campolavorista e autore dell’articolo


Dal Campo Giovani 2018

Sapete qual è stata la cosa che più mi ha colpito di Agape? È un posto pensato per l’incontro: tutto ti trascina giù, verso il salone, verso il dialogo e la vita comunitaria, è il posto stesso che ti impedisce di isolarti. E chi più di noi giovani ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa? Siamo saliti e salite con queste domande in testa, su e più su per la strada tortuosa in cerca di qualche risposta, in cerca di confronto con altri e altre che ci fossero simili.

Durante il Campo Giovani, che si è tenuto ad Agape nel mese di novembre, abbiamo discusso e affrontato più aspetti dell’adultità e, in particolar modo, vorrei soffermarmi sull’attività del gioco di simulazione. È stato un vero e proprio viaggio nel futuro: ci siamo seduti a gruppetti nel salone e abbiamo giocato a viaggiare nel tempo; chiusi gli occhi, ci siamo proiettati e proiettate sempre più avanti, di anno in anno, aiutati da una meditazione collettiva coordinata dal microfono di staffisti e staffiste. Nel momento in cui abbiamo riaperto gli occhi, eravamo immersi e immerse in una nuova realtà. Eravamo sempre noi stessi: eppure, proiettati in questa nuova vita, ci siamo trovati a raccontarci con quegli stessi amici l’accaduto in questi anni passati. Ad ogni nuovo risveglio ci venivano assegnati “imprevisti” che potevano sconvolgere da cima a fondo ciò che ci eravamo immaginati, esattamente come nella vita di tutti i giorni. È stato difficile, durante i primi turni, immaginarsi così in avanti nel tempo (anche solo di un anno: riuscireste ad immaginare l’accaduto di un anno intero?) ma piano piano è diventato sempre più coinvolgente e automatico, esattamente come se le cose fossero accadute davvero. Fino ad un punto di rottura e di conclusione, in cui abbiamo dovuto immaginarci una (per fortuna) fittizia e traumatica chiusura di Agape, a un punto in cui ormai tutti avevamo superato il 2060. Quest’attività, come tutte le altre, ci ha avvicinato ad un concetto astratto e complesso, l’adultità.

La domanda di apertura del campo Giovani 2018 recitava:

“Sei in grado di considerarti completamente Adulto? Per quali aspetti e fattori la tua risposta è stata sì o no? Sarai avvolt* da una sensazione di totale spaesamento, nessun problema! Avessimo la risposta a tutto non potremmo porci nessuna domanda, e che mondo sarebbe?”

Che nessuno e nessuna si senta solo in questa impresa che deve essere, anzi, affrontata insieme. Un campo pensato per i giovani e le giovani, creato da coloro che si sentono giovani dentro, uno spazio dedicato a tutti coloro che si sentono intrappolati “nel mezzo”.

Stella Faggioli

Tutto pronto per l’inizio del nuovo anno in casa Residenti

È il 13 Ottobre 2018 e mentre vi raccontiamo un po’ del nostro inizio si comincia a sentire un buon profumo di patate con brie e prosciutto e fuori il sole lascia il posto alla luna e alle infinite stelle della notte Agapina. Innanzitutto ci presentiamo: siamo il nuovo Gruppo Residente e, oltre a Direttore e Vicedirettora, siamo 3 ragazzi e 6 ragazze provenienti da Italia, Germania, Serbia e Colombia. Come forse già saprete alcun* di noi sono qui da uno o addirittura due anni, ma altr* sono qui solo da poche settimane, e il grande salone vuoto in questo posto lontano dalla società un po’ spaventa e un po’ affascina tutti e tutte, vecchi e nuove.

Ringraziamo gli ex residenti Luca, Kaća e Viktor, e Chilo che hanno finito il loro servizio ad Agape. La loro partenza ha un po’ destabilizzato chi di noi era qui già l’anno scorso, ma dopo circa due settimane passate tra arrivi, partenze e ferie di varie persone, abbiamo organizzato un piacevole aperitivo a Torino, siamo andat* tutt* insieme a Caselle per l’arrivo dell’ultimo nuovo residente e ci siamo tuffat* nella settimana di retraite, parlando di noi, meditando e provando a farci un’idea sul funzionamento di Agape, e ora possiamo finalmente dire che la nostra vita da residenti è iniziata per davvero. Chiara, Dominik, Fulvio e Olga, che hanno già vissuto almeno un inverno qui, in questi giorni cercano un po’ di passare ai “nuov*” le loro conoscenze e un po’ di farsi venire in mente lavori che possano essere eseguiti insieme ma non siano rivoltanti come pulire le canaline esterne o quelle di Cucina e Servizio (che intanto detergiamo impeccabilmente, aspettando con ansia di avere idee più piacevoli); Marie, Victoria e Višnja, lavorando in centro con i “vecch*”, iniziano ad adattarsi e ad apprezzare il lento ritmo dell’autunno Agapino e cominciano a pensare che non vedranno mai un salone popolato e che il Campo Lavoro sia solo una leggenda; e infine l’ufficio, quest’anno rinnovato, è ormai diventata la calda dimora di Milica e Steven, che, dopo aver imparato i fondamenti del loro nuovo lavoro e aver avuto a che fare con le prime iscrizioni, sono talmente dentro alla mentalità dell’ ufficio che iniziano a dimenticare di fare alcune pause caffe, smettono di lavorare quando suona la campana che chiama le persone per la cena.

Per quanto riguarda la casa, invece, le camere si sono ripopolate e sono quasi tutte completate, mentre il salotto passa in continuazione da essere luogo di rilassante rifocillamento a ospitare il calore del caminetto e delle canzoni cantate suonando la chitarra o gruppetti di persone che, a ritmo dei classici delle ultime estati, alzano la musica al massimo e iniziano a ballare come pazzi e pazze, trasportando in casa un po’ dell’energia tipica delle feste agapine (per ora senza lamentele da parte di altr* residenti che forse preferirebbero riposare ma che comunque sembrano godersi il clima allegro). Insomma, qua su va tutto bene e l’anno è iniziato in maniera tranquilla, ma noi Residenti non vediamo l’ora di ospitare i diversi gruppi e campi di questo autunno e inverno e con essi campolavoristi e campolavoriste che speriamo vengano in nostro aiuto, quindi se vi ricordate di non aver nessun impegno nei weekend di Novembre e a Dicembre e vi va di venire a lavorare e a godervi un po’ Agape con noi, scrivete all’ufficio e salite subito che dato che stiamo pulendo ora la canaline non rischiate di dover fare nulla di disgustoso .

Grazie per esservi interessati e interessate e aver letto fino in fondo questo breve racconto, ci vediamo presto!

Il gruppo Residente.

La realtà sospesa di Agape

Il volto di Cristo e il Regno di Dio

Ogni storia comincia con qualcosa. La storia di Agape comincia con Tullio Vinay: Scolpiamo sulle rocce dei nostri monti il volto di Cristo – con queste parole viene avviato il progetto Agape. Il Centro Ecumenico Agape nel suo aspetto fisico ha preso forma ormai da tanto tempo; Agape è scolpito nei monti, esiste. Anche la nostra personale storia di Agape comincia lì, nei monti, tra i suoi muri. Ci scorgiamo però il volto di Cristo, il pensiero iniziale? Vediamo in Agape la testimonianza di Dio nel nostro mondo?

Probabilmente durante la sua costruzione si vedeva questa testimonianza incisa nei suoi muri, quando dava a centinaia di giovani donne e uomini la possibilità di realizzare qualcosa più grande della propria realtà. Non costruivano Agape, ma costruivano la propria comunità, che era un’utopia, un’idea senza luogo che rendeva visibile la presenza di un Dio che ama. Nonostante questa comunità si fosse costruita dei muri e un tetto per essere ospitata, era rimasta un’utopia in costruzione, un outopos: se voleva essere segno visibile della presenza di Dio, non si poteva fermare con la costruzione dei muri ma doveva indicare qualcosa oltre se stessa: un mondo migliore ancora da definire.

Se parliamo oggi della visibilità del volto di Cristo, non possiamo fare altro che usare questi termini: poter rendere visibile il pensiero iniziale di Agape creando un luogo dove tutti e tutte coloro che ardono per Agape possano costruire la loro comunità – nella consapevolezza che la comunità non è soltanto obiettivo, ma messaggio e mezzo per raggiungere un obiettivo al di là del visibile. Il messaggio è un Dio che ama e un mondo da amare; l’obiettivo è il mondo migliore ancora da definire, il Regno di Dio come promesso da Gesù, ancora non visibile – ma sempre presente, nel sogno e nell’obiettivo comune, come una scintilla ardente. Ogni tanto riusciamo a vedere questa scintilla, nelle varie realtà di Agape e ci innamoriamo di quel qualcosa da definire. Di questo nostro amore e di questa nostra storia di Agape vorremmo raccontarvi oggi.

 

Lo spirito di Agape

Venendo ad Agape per la prima volta sentiamo una magia – o spiritualità, o comunità, insomma qualcosa – e cerchiamo delle parole per descriverlo, trovando queste parole nel cosiddetto “spirito di Agape”. Chiamiamo “spirito di Agape” quello che ci fa tornare ad Agape una volta messo piede sulle sue rocce. Tanto è facile evocare lo spirito di Agape, quanto è intangibile nel momento in cui lo vogliamo definire: sembra una entità astratta, perché non è collocabile, né nel Gruppo Residente, né nel Campolavoro, né nelle staff, né nei comitati. Così come non si può spiegare Agape soltanto con il luogo visibile ma dovendo aggiungere la somma delle idee trattate, delle persone presenti e ancora qualcosa in più, così è onnicomprensivo anche lo spirito che aderisce a questo posto: legato a ogni persona che costruisce Agape con il proprio servizio, le proprie idee e ancora qualcosa in più.

Da questo pensiero vediamo affluire l’illimitatezza di noi stessi: sentiamo di poterci fare coinvolgere nelle diverse realtà di Agape e in queste possibilità vediamo la promessa di poter essere noi stessi, cioè di realizzare noi stessi all’interno di una struttura che ce lo permette. In questi termini, la frase costitutiva di Agape, scritta nella Chiesa all’Aperto – L’amore non verrà mai meno (1Cor 13,8) – ci suona come la seducente promessa immensa e infinita di libertà. E ci godiamo questa libertà con tanti altri e tante altre, ci godiamo la piacevole rassicurazione che Agape è il nostro sogno, aperto alle nostre idee e alle nostre esigenze.

Quel sogno ci accoglie e comincia ad assorbire il nostro entusiasmo autocentrato. Pian piano capiamo che Agape non è il nostro sogno. È qualcosa di molto diverso e al contempo simile: è il sogno altrui. Con questa rivelazione la nostra esaltazione lascia spazio a qualcosa al di là di noi stessi e noi stesse: ci rendiamo conto della concezione utopica di Agape; cominciamo a vedere Agape come mezzo per una realtà oltre di noi. Ed è qui che la promessa di libertà cambia radicalmente: è ancora immensa, ma immensa nelle possibilità che richiedono il nostro impegno. È ancora infinita, ma infinita nei termini della nostra finitezza nel poter contribuire.

Più di voler essere accogliente per tutte e tutti, il concetto dello spirito di Agape comincia quindi a essere una chiamata all’ordine: cosa porto veramente ad Agape? Adatto Agape a un sogno mio e alle esigenze mie o mi adatto al sogno di Agape e alle sue esigenze? Il sogno di Agape non è più una fuga dal mondo, il posto per trovarmi ed essere me stesso, me stessa. Tuttavia sentiamo profondamente l’impatto di queste due domande sulla nostra esistenza, cambiano il significato che Agape ha per noi e ci cambiano la vita, perché cambiano la nostra prospettiva sul mondo.

 

Agape come mezzo: fede per chi crede e per chi non crede

Il più grande impatto di Agape lo vediamo nella persona di fronte a noi: non è più l’altro, l’altra ma è nostro fratello, nostra sorella, è nostra madre, nostro padre, è nostro figlio, nostra figlia. Vediamo agire questa persona e sappiamo che il suo agire è radicato profondamente in quello che non riusciamo a vedere – cerchiamo almeno di leggerla con questa ottica, sapendo che le nostre azioni sono le prime ad aver bisogno di una tale lettura. Sentiamo parlare questa persona e sappiamo che nel suo parlare risuona ciò che non riusciamo a sentire – proviamo almeno ad ascoltarla in questo modo, sapendo che le nostre parole sono le prime ad aver bisogno di un tale ascolto. Intravediamo la scelta di questa persona e sappiamo che le sue ragioni sono molto più ampie del nostro giudizio – vogliamo almeno valutarle con questa ragione, sapendo che le nostre scelte sono le prime da mettere sotto un giudizio clemente.

Tentando un tale punto di vista corriamo un rischio, perché questo ci mette in una posizione di debolezza. Fidandoci senza condizioni di una persona che non conosciamo, ci togliamo tutte le armi di difesa. Il nostro cuore aperto è la premessa per accogliere ciò che è nascosto, ma il nostro cuore aperto è anche una ferita: una volta aperto alla persona di fronte a noi non possiamo più chiuderlo. Siamo scoperti quando non si tenta di leggere la profondità delle nostre azioni, quando non si tenta di ascoltare la risonanza delle nostre parole, quando non si tenta di valutare le nostre scelte con clemenza. Questa debolezza però è indispensabile per un dialogo non legato al visibile ma al possibile, ci è richiesta in quanto la comunità di Agape si è creata con l’apertura dei nostri cuori, ci è permessa in quanto la comunità di Agape si è consolidata proteggendo chi apre il proprio cuore; e la comunità, costituita nuovamente in ogni singolo momento di debolezza, ci dà la forza di continuare e di offrirle il meglio di noi.

L’utopia per noi comincia a esprimersi nel nostro modo di guardare, ascoltare, valutare; tramite la nostra debolezza diamo possibilità a una realtà nuova: la fiducia nella persona di fronte a me diventa la fede che nel mondo viva il bene, la fede che la creazione sia voluta buona. E questa fede ci cambia la vita, perché ci dà un cuore nuovo, uno spirito nuovo: ci dà un cuor vivo (Ez 36,26). Permettendoci di vivere con questo cuor vivo e aperto, ferito e non difendibile, e accettando la nostra debolezza, la realtà nuova che creiamo in ogni momento diventa un mondo migliore. E dando questo contributo, credente o no, il Regno di Dio comincia a scintillare nel nostro amore e nell’amore altrui.

 

Agape come messaggio: speranza portata al mondo

Agape ha cambiato, quindi, il nostro punto di vista. Abbiamo anche scoperto che Agape ha un punto di vista proprio, condiviso: anche questo punto di vista è caratterizzato dalla tensione tra ciò che è visibile e ciò che non è visibile. Abbiamo visto che Agape, durante la propria esistenza, ha sviluppato un approccio verso le persone basato su quello che la persona porta in sé come potenzialità: ci rivolgiamo più a ciò che è possibile che a ciò che appare. Fidandoci della promessa e della possibilità del mondo migliore, dell’utopia, ad Agape sperimentiamo il tentativo di vedere in chi arriva la promessa di ciò che non c’è ancora.

Agape cambia il nostro punto di vista e, al contempo, ci fa sentire che il punto di vista su di noi è profondamente cambiato: Agape si è messo sul nostro cuore come un sigillo (Ca 8,6), ci ha messo in un contesto nuovo. Quel nuovo contesto, vedere nella nostra vita la possibilità dell’utopia, la scintilla del Regno di Dio, ci fa diventare un messaggio: non siamo più diretti a noi stessi, dirette a noi stesse, ma al mondo migliore; non siamo più chi siamo, ma chi possiamo essere. Troviamo le impronte di quel sigillo in noi e negli altri e altre e vediamo che queste impronte sono rivolte al futuro, al nostro e quello delle altre e degli altri.

Viviamo le impronte di Agape come un segno, un segno invisibile. Ci identifica come parte necessaria di una comunità: non siamo soli in quello che facciamo e non cerchiamo noi stessi e noi stesse in quel che facciamo, bensì gli altri e le altre. Questo segno ci identifica, però, anche come persone delegate di questa comunità: non facciamo quel che facciamo per noi stesse e noi stessi, ma per un futuro possibile, per una persona possibile, per un mondo possibile. Il segno di Agape ci chiama a rivolgerci non a noi o soltanto alla nostra comunità, ma verso qualcosa più grande di noi e della nostra comunità: l’impronta di Agape che ci ha segnato per tutta la nostra vita, che ha cambiato il nostro punto di vista, che ci ha permesso di vederci nelle nostre possibilità, è il messaggio che portiamo al mondo con piedi simili a quelli delle cerve negli alti luoghi (Sal 18,33). Vediamo che il sigillo non è soltanto sul nostro cuore ma anche sul nostro braccio, e capiamo che non abbiamo deciso di portarlo ma che siamo stati chiamati e state chiamate a vedere un mondo possibile.

 

Agape come obiettivo: l’amore nella comunità

Il mondo possibile, però, non esiste. Proviamo a dargli forma, luogo, visibilità nella nostra comunità, ma non esiste ancora. La nostra comunità, con tutto il suo entusiasmo, il suo amore, i suoi sogni, è realtà. È parte del mondo come tutto ciò che vogliamo far evolvere, tutto ciò che vogliamo superare, tutto ciò che vogliamo abbandonare. La realtà di Agape è fragile e noi viviamo in una realtà fragile anche se siamo indirizzati verso il mondo migliore. Dobbiamo reagire a questa realtà che non è l’utopia sognata, facciamo parte del mondo che non è il Regno di Dio.

Abbiamo visto, però, una scintilla di ciò che non siamo; abbiamo visto la città posta sopra un monte (Mt 5,14). Abbiamo visto la scintilla e ci siamo sentite chiamate e chiamati a cercarla, ad accoglierla nella fragile realtà di Agape. Quando ci siamo innamorati del sogno che unisce la comunità abbiamo accettato la promessa di cercarlo, di renderlo possibile. E questa promessa ci ha fatto nascere la speranza, una speranza delicata, che dobbiamo ritrovare ogni giorno di nuovo: che il fallimento, il fallimento continuo non ci allontana dal nostro sogno ma ci avvicina a esso.

Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante (Is 62,1): La nostra storia d’amore ha avuto un inizio, tanti inizi – ma una fine non ce l’ha. È diventata l’entità plasmante della nostra vita. Abbiamo sentito una chiamata e la seguiamo: fallendo, dovendo stare nella realtà e non nei nostri sogni, ma pieni e piene di amore per quello che facciamo, cercando di avvicinarci a quello che abbiamo visto insieme.

 

Agape: una storia d’amore

Ogni storia comincia con qualcosa. Con un momento, un pensiero, uno sguardo. Siamo arrivati ad Agape e abbiamo imparato a vedere il possibile, abbiamo trovato un posto che dava luogo a ciò che non aveva un luogo. Ad Agape abbiamo vissuto la testimonianza di un futuro da costruire, abbiamo visto una scintilla di un’idea grande che ci attira e abbiamo sentito lo spirito di una realtà possibile che ci spinge; ne abbiamo trovato tracce sui nostri cuori, abbiamo trovato un segno del Regno di Dio.

Sono tanti gli inizi che abbiamo trovato per cominciare la nostra storia d’amore con Agape e ogni inizio è prezioso in quanto ci ricorda in un solo momento tutto l’amore per questo posto e la sua comunità. È prezioso nei momenti pesanti, quando ci sembra di portare tutto il peso della realtà sulle spalle senza poter neanche immaginare un sollievo. È prezioso nei momenti di debolezza, quando ci sembrano infinitamente distanti il sogno che ci chiama e la nostra esistenza. È prezioso quando le tracce dell’amore nei nostri cuori sembrano soltanto ferite, quando la nostra chiamata sembra segnare non i nostri sogni ma la nostra vita.

Ha tanti inizi la storia d’amore con Agape. È una storia piena di fallimenti, di debolezza e di limiti. Ma abbiamo visto come il nostro fallimento si è trasformato in una nuova possibilità, abbiamo visto come la nostra debolezza ha rinforzato la comunità. E abbiamo visto che i nostri limiti non erano più barriere ma soltanto trapassi tra me e la persona di fronte a me, tra noi e la comunità. È in questi momenti che abbiamo visto veramente cosa sia possibile: che noi, nella nostra realtà, possiamo vedere oltre noi stesse e noi stessi, possiamo sognare per gli altri e per le altre, possiamo accogliere Dio – perché è Dio che ci ha accolto, nel nostro mondo, nella nostra comunità, e ci ha dato un amore, un amore eterno per abitare i nostri giorni ovunque ci chiami.

Malte Dahme

Sara Marta Rostagno

Direzione di Agape Centro Ecumenico

Un giorno nella vita di un (residente) Agapino

La maggior parte dei giorni si assomiglia abbastanza, abbiamo una lista delle cose da fare che ci dividiamo dopo la colazione, quando ognuno e ognuna di noi si sposta nel proprio settore: spazzare i pavimenti, fare il bucato, pulire i bagni, spostare della sabbia; tutte quelle attività banali che sono necessarie a questo grande Centro per restare aperto. Ma al di là della manutenzione ordinaria scorre una vita che banale non è per nulla.

Borgata Agape, a Prali, ha una popolazione di undici abitanti, tutti membri a tempo pieno del Gruppo Residente: ognuno e ognuna di noi ha le proprie forze e talenti e lavora, ciascuno/a  a suo modo, per il miglioramento di Agape. Lavoriamo bene fra di noi, non importa come siano divise le squadre di lavoro. Come capita spesso fra persone che vivono sotto lo stesso tetto per un lungo periodo, siamo diventati qualcosa di più che colleghi e colleghe, diventando una famiglia.

Come residenti, ci aiutiamo l’un l’altro/a, non solo per quanto riguarda il lavoro di Agape, ma anche emotivamente e spiritualmente. Mangiamo insieme quasi ogni pasto, componiamo puzzle e guardiamo film insieme; insieme ridiamo, piangiamo, festeggiamo e siamo tristi; ogni membro del gruppo si prende cura degli altri e delle altre. Spesso ci riposiamo attorno al camino in salotto suonando e cantando: quest’anno abbiamo un Gruppo Residente molto portato per la musica e la maggior parte di noi canta nella Corale della Chiesa Valdese di Prali.

Ma non c’è solo il tempo in famiglia: abitare ad Agape è il nostro lavoro. Molto spesso ospitiamo nel Centro grandi gruppi: di frequente sono gruppi autonomi, classi universitarie o feste di compleanno, ma accogliamo anche organizzazioni della Chiesa e chi partecipa ai campi tematici ogni estate. Il momento più frenetico del lavoro di agape è la visita di un gruppo: per questo motivo il Gruppo Residente è grato al Campolavoro che lo aiuta ad alleggerire il proprio carico.

Vale la pena lavorare senza sosta, qualsiasi sforzo ciò comporti, perché riusciamo a mostrare agli ospiti e alle ospiti una grande accoglienza e doniamo loro una bella esperienza ogni volta che vengono. Vedere la gioia sul volto dei campisti e delle campiste ci fa capire che si può fare la differenza nel mondo. Vorrei poter continuare a raccontarvi la vita di Agape, ma è l’ora di andare a lavare il salone: abbiamo un gruppo, questo fine settimana…

Rev. Chilo Brackett Garrou Forsyth, residente ad Agape, 2017-2018

Una comunità che condivide

Agape: un piccolo – se piccolo si può chiamare – luogo al limite di Prali; un insieme di pietre, legno e amore.

Anche quest’anno, come per me è ormai una tradizione da quasi dieci anni, ho avuto l’onore di poter partecipare a uno dei campi estivi: è stata la volta del mio primo campo cadetti, per adolescenti dai 14 ai 17 anni.

Durante il campo si è parlato a lungo di comunità, in ogni modo possibile e immaginabile: di comunità di Agape e comunità di Prali, di comunità come gruppo, di insieme di persone con cose in comune o meno.

Parlando di comunità, è stato ovvio e necessario parlare di regole: un gruppo necessita di un insieme di regole per poter vivere bene insieme, perciò esistono le regole scolastiche, le leggi, le regole durante le lezioni di scuola domenicale o di catechismo; ad Agape, però, non si tratta solo di vivere bene, si tratta di condividere ogni momento, di passare ogni attimo in compagnia di persone che conosciamo o meno ma con le quali a fine campo abbiamo instaurato certamente un rapporto, stretto o meno.

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Perché “certamente”? Perché gli anni del Campo Cadetti sono quelli dell’adolescenza dove le amicizie si creano con uno schiocco di dita e nello stesso modo si distruggono; sono gli anni delle piccole scelte e dei grandi sogni. È facile instaurare un rapporto con persone con cui passi tutto il tuo tempo per dieci giorni, così come è assolutamente impossibile non instaurare un rapporto con la staff, che quest’anno è stata davvero fantastica e fantasiosa.

E con questo, invito ogni persona che abbia letto questo articolo a partecipare a un campo ad Agape, perché Agape è uno di quei luoghi, di quelle esperienze, che ti rimangono dentro, sempre.

Dal Campo Cadetti/e 1,

Rachele Mund

Siamo in onda!

L’estate di Agape prosegue svelta tra un campo e l’altro, un susseguirsi di persone sempre diverse animano il centro di molte voci. Ad Agape infatti si può trovare il silenzio della montagna e della natura, ma nella stagione calda risuona in continuo di musica, dibattiti, risate, chiacchiere, conferenze, film, spettacoli, canti. Da sempre in questo centro ci si chiede quanto i temi discussi e l’esperienza vissuta quassù riescano a uscire dal contorno delle alte montagne per raggiungere orecchie  lontane. E’ un tema sempre aperto quello della capacità e necessità di Agape di uscire dalle proprie mura per portare il proprio messaggio al di fuori e per confrontarsi con il mondo e altre realtà che si occupano di temi simili e perseguono obiettivi affini.

Da quest’estate una piccola novità si muove in quella direzione. A partire da giugno infatti, con l’inizio del primo campo estivo, il PC2 (pre-cadetti 2), è andata in onda Radio Agape sulle frequenze di Radio Beckwith Evangelica. Questa emittente con sede a Torre Pellice, molto presente nel mondo valdese e vicina al mondo di Agape, ospiterà infatti per tutta l’estate questo nuovo programma.

“Un estate, dodici campi, 12 prospettive. La montagna di Prali, il mondo e le nostre valli raccontate dalle voci di Agape Centro Ecumenico” così iniziano tutte le puntate di Radio Agape che di settimana in settimana raccontano cosa succede nei diversi campi estivi. Ogni campo sceglie una propria playlist e decide come intrattenere gli/le ascoltatori/trici: interviste ai campisti e alle campiste, descrizione di attività, riflessione sui temi centrali della settimana. Un’ora a settimana per sintonizzarsi su quello che succede nel centro, seguire l’evoluzione dell’estate “agapina” e cogliere, anche solo in parte, le diverse anime del centro.

La collaborazione con l’emittente radiofonica torrese però non si ferma qui: per alcuni campi infatti sono previste delle dirette facebook su alcuni momenti importanti da condividere in maniera più completa. Le dirette facebook verranno riprese dalla radio e compariranno sulla pagina facebook Radio Beckwith Evangelica, condivise poi sul profilo di Agape: potranno essere conferenze, culti, momenti di condivisione o attività particolarmente significative.

Quindi restate sintonizzati su Radio Becwith Evangelica, ogni giovedì dalle 20.00 alle 21.00 o in replica il sabato alle 15.00 e seguite le pagine facebook della radio e di Agape per sentire e vedere la vita del centro.

Picche, carriole e sorrisi

Picche, zappette, coltellini, mani nude, corde, carriole e sorrisi. Il gruppo residenti e una ventina di amici e amiche di Prali lavorano e ridono insieme sulle scale di Agape durante uno splendido pomeriggio di metà maggio.
Tutto è nato a gennaio durante una riunione quartierale (incontri serali scadenzati in quartieri o borgate diversi nelle comunità valdesi) in cui ci hanno raccontato che un tempo erano i fiori a dare il benvenuto a chi arrivava ad Agape, ornando la scalinata con colori e profumi. Questo paragone non era una critica, bensì una proposta di collaborazione e anche la dimostrazione dell’attenzione diffusa verso un posto amato che esige cure immense.

Tra le regole che l’attuale gruppo residenti si è dato riguardo il proprio benessere in comunità c’è quella del tempo condiviso e oggi ne è dimostrazione. I villaggi alpini come Prali vivono grandi sfide climatiche ma anche comunitarie da secoli e hanno molto da insegnare. Durante le riunioni quartierali ci ha sorpreso particolarmente come per loro sia un’ovvietà l’aiuto reciproco quotidiano, fatto di piccole accortezze e atti di bontà non casuali: un lascito residuale della forza di coesione che si sentiva prima, fino a metà ‘900, quando le cose da fare erano molte e lo sforzo era sempre sostenuto da tutte e tutti come una rete in cui ogni puntello fa uno sforzo irrisorio rispetto al peso che sta al centro.
Un po’ come le reti della biodiversità di questi boschi, anche le reti umane hanno bisogno di essere ricche e sane nei loro singoli elementi. Nei momenti in cui vacillano o iniziano a mollare i legami della rete, il peso diviene presto insostenibile a discapito di tutta comunità o dell’ecosistema. Fare cose insieme è sia cura che prevenzione perché infoltisce le relazioni e vivifica le forze.

La comunità durante i suoi sforzi strategici e manuali comuni rivela la sua potenza insostituibile, insieme come oggi quando dopo un apericena al tramonto, abbiamo concluso in bellezza con il riposizionamento della croce di Agape, caduta quest’inverno durante una notte tempestosa quando il vento piegò le staffe metalliche e la base cedette a causa del lavorio delle mega-formiche agapine sul legno interrato. Le donne guardavano, consigliavano e ogni uomo a capo di una corda, ha sollevato la pesante croce, apparentemente senza sforzo.
Quella del potenziale umano è una rete multicolore, regolare e armonica, pur nei suoi contorni variegati ed è ben visibile quando inventiva, solidarietà e piacere condiviso si uniscono in attività sincrone.
Grande riconoscenza e una buona stagione dei fiori a tutti e tutte!

Sara Marta Rostagno

Da un grande potere deriva una grande responsabilità

dscf5939Da un grande potere deriva una grande responsabilità: questo il titolo della Staffissima, svoltasi quest’anno dal 24 al 26 marzo, un campo che vede protagoniste tutte le staff dei campi proposti da Agape.

Durante queste giornate, infatti, le staff da una parte iniziano – o portano a termine – i lavori per la realizzazione dei campi e, dall’altra, approfittano di questo momento insieme per conoscersi, incontrare il nuovo Gruppo Residente, condividere problemi e riflessioni, con l’obiettivo di mettere a disposizione di tutti e tutte conoscenze ed esperienze e di tracciare insieme un cammino comune.

Le attività sono state proposte dal Consiglio di Staff che, insieme con la Direzione, ha raccolto le criticità emerse dalle staff a fine estate o insorte durante lo svolgimento dei campi e ha creato, per questo campo, occasioni per discuterne, ribadendo anche l’importanza e la responsabilità che fare staff ad Agape comportano. Come base per tutto ciò, le linee pedagogiche di Agape, il Vademecum per il lavoro nelle staff e il Documento sulla formazione di Agape, che ogni anno vengono ripercorsi e ridiscussi.

Obiettivo e risultato del primo momento comune è stato quello di creare un patto da presentare a laboratoristi/e e relatori/trici, in modo che chi come tale si avvicina e partecipa alla vita di Agape abbia un’idea del significato di questo progetto, della sua storia e delle sue regole, con particolare riguardo ai campi per minori e alla responsabilità pedagogica che si viene a creare e sussiste anche al di fuori delle attività svolte.

La responsabilità è tornata a essere discussa nelle attività successive. Un semplice gioco ci ha portato a creare una fotografia comune delle staff e delle esperienze che ogni persona ha vissuto nel contesto di Agape e di come,quindi, sia responsabilità di ognuno e ognuna condividere le esperienze e le conoscenze acquisite a beneficio della staff, in un continuo processo di apprendimento e formazione. La rilettura delle linee pedagogiche di Agape ci ha ricordato gli obiettivi che stanno alla base del lavoro delle staff ma ci ha anche posto di fronte ai problemi che questo comporta per

alcuni individui o gruppi: come riconoscersi in queste linee? Come interpretarle? Come renderle contemporanee e condivise? L’attività era volta a capire i perché di questi spunti, conoscerli più a fondo e quindi comprenderli e poterli, così, meglio applicare.

Ancora sulla responsabilità ci si è interrogati, discutendone caldamente, durante il gioco di schieramento che ha visto le staff prendere posizione su temi quali il ruolo educativo durante le attività o al di fuori di esse, le regole condivise durante i campi e la libertà.

Alla fine dei tre giorni, il Direttore e la Vicedirettora hanno tenuto un discorso, ricordando con affetto Demetrio e riconoscendo i frutti del suo impegno e del suo amore, ringraziando ognuno e ognuna per la loro dedizione e l’apporto che danno al Centro. Il lavoro che è stato fatto e si fa è immenso: tutto ciò non sarebbe possibile senza l’aiuto di tutte e tutti.

Luisa Meytre, Consiglio di  Staff

Dal Campo Formazione…

1926629_10152346245826203_8661728972550823820_nA inizio dicembre si è tenuto ad Agape il Campo Formazione e Progettazione, al quale ho partecipato quest’anno per la prima volta. Prima di allora non avevo mai preso parte a un campo del genere e, ad essere sincera, non avevo mai neanche considerato la possibilità di far parte di una staff. Nell’ultimo periodo, però, ha cominciato a balenarmi in mente l’idea di intraprendere questa strada, dopo svariati campi Cadetti e qualche esperienza di campolavoro.

Parlando con alcuni miei coetanei e coetanee, che avevano con me partecipato ai campi Cadetti estivi e invernali, è emerso che la fine dell’esperienza dei campi per minori rappresenta, per alcuni e alcune, una fine definitiva: “Agape non sarà più bella come era prima, non so se ci tornerò…” mi sono sentita ripetere varie volte. Devo ammettere che anche io, inizialmente, ho provato la paura di non poter più sentire, dopo aver vissuto tante esperienze meravigliose, la magia che Agape aveva sempre portato con sé in questi anni. Questi timori iniziali, però, hanno lasciato spazio alla voglia di conoscere e scoprire questo luogo anche attraverso altri percorsi, prendendo parte alla vita comunitaria in vesti nuove; il campo Formazione è stato per me, quindi, come ogni “prima volta” un’esperienza strana, inedita e diversa che, tuttavia, mi ha dato la possibilità di guardare Agape da una nuova prospettiva, permettendomi di osservare questo Centro con occhi diversi e facendomi anche ritrovare la “magia” che temevo quasi di aver perso.

Attraverso le varie attività proposte in questi intensissimi giorni, siamo stati chiamati e chiamate a interrogarci circa il tema dell’inclusione: cosa si intende realmente per inclusione? Quali sono gli elementi che la favoriscono e quali, invece, la limitano? Riusciremo mai a dare una definizione esaustiva di questa parola?

Inizialmente, abbiamo provato a rispondere a queste difficili domande focalizzandoci su Agape, che apre le sue porte a qualunque persona voglia prender parte alla sua vita comunitaria. Successivamente, però, ci siamo concentrati anche su altri aspetti che potrebbero rappresentare degli ostacoli ad Agape: anche in un luogo votato all’inclusione, ci sono problemi che tanti e tante di noi non avevano magari mai preso in considerazione.

Abbiamo avuto in questi tre giorni anche l’occasione di considerare il mondo delle disabilità, riflettendo su come poterci concretamente rapportare a questa tematica: durante un’attività ci siamo immedesimati e immedesimate in un disabile, rendendoci conto sulla nostra stessa pelle di quali e quanti potessero essere gli elementi limitanti l’inclusione e comprendendo come far sì che questi possano essere eliminati, favorendo la partecipazione attiva di chiunque.

Parallelamente alle attività sul tema centrale, ci siamo ritrovati faccia a faccia, tanti e tante di noi per la prima volta, con l’organizzazione di un campo: in piccoli gruppi abbiamo dovuto preparare, infatti, dei giochi per un ipotetico campo. Per la prima volta, mi sono resa conto di quanto questo sia un processo complicato e lungo: prima di quel momento, avevo sempre preso parte a queste attività senza mai preoccuparmi più di tanto del lavoro che ci stava dietro.

Abbiamo compreso quanto, anche nella preparazione di semplici giochi, magari anche per bambine e bambini, sia importante prendere in considerazione le esigenze di ognuno e ognuna affinché non si sentano mai esclusi ed escluse dalle attività proposte.

Sicuramente, il campo Formazione mi ha lasciato tante idee nuove nella testa e tanta voglia di riflettere su aspetti che prima neanche conoscevo o che comunque non avevo mai considerato. Adesso non vedo l’ora di entrare a far parte di una staff, quella del campo Precadetti/e 2, con la quale sono impaziente di cominciare a lavorare a partire dalla Staffissima, che si terrà dal 24 al 26 Marzo!

 

Susanna Mancini