Il volto di Cristo e il Regno di Dio
Ogni storia comincia con qualcosa. La storia di Agape comincia con Tullio Vinay: Scolpiamo sulle rocce dei nostri monti il volto di Cristo – con queste parole viene avviato il progetto Agape. Il Centro Ecumenico Agape nel suo aspetto fisico ha preso forma ormai da tanto tempo; Agape è scolpito nei monti, esiste. Anche la nostra personale storia di Agape comincia lì, nei monti, tra i suoi muri. Ci scorgiamo però il volto di Cristo, il pensiero iniziale? Vediamo in Agape la testimonianza di Dio nel nostro mondo?
Probabilmente durante la sua costruzione si vedeva questa testimonianza incisa nei suoi muri, quando dava a centinaia di giovani donne e uomini la possibilità di realizzare qualcosa più grande della propria realtà. Non costruivano Agape, ma costruivano la propria comunità, che era un’utopia, un’idea senza luogo che rendeva visibile la presenza di un Dio che ama. Nonostante questa comunità si fosse costruita dei muri e un tetto per essere ospitata, era rimasta un’utopia in costruzione, un ou–topos: se voleva essere segno visibile della presenza di Dio, non si poteva fermare con la costruzione dei muri ma doveva indicare qualcosa oltre se stessa: un mondo migliore ancora da definire.
Se parliamo oggi della visibilità del volto di Cristo, non possiamo fare altro che usare questi termini: poter rendere visibile il pensiero iniziale di Agape creando un luogo dove tutti e tutte coloro che ardono per Agape possano costruire la loro comunità – nella consapevolezza che la comunità non è soltanto obiettivo, ma messaggio e mezzo per raggiungere un obiettivo al di là del visibile. Il messaggio è un Dio che ama e un mondo da amare; l’obiettivo è il mondo migliore ancora da definire, il Regno di Dio come promesso da Gesù, ancora non visibile – ma sempre presente, nel sogno e nell’obiettivo comune, come una scintilla ardente. Ogni tanto riusciamo a vedere questa scintilla, nelle varie realtà di Agape e ci innamoriamo di quel qualcosa da definire. Di questo nostro amore e di questa nostra storia di Agape vorremmo raccontarvi oggi.
Lo spirito di Agape
Venendo ad Agape per la prima volta sentiamo una magia – o spiritualità, o comunità, insomma qualcosa – e cerchiamo delle parole per descriverlo, trovando queste parole nel cosiddetto “spirito di Agape”. Chiamiamo “spirito di Agape” quello che ci fa tornare ad Agape una volta messo piede sulle sue rocce. Tanto è facile evocare lo spirito di Agape, quanto è intangibile nel momento in cui lo vogliamo definire: sembra una entità astratta, perché non è collocabile, né nel Gruppo Residente, né nel Campolavoro, né nelle staff, né nei comitati. Così come non si può spiegare Agape soltanto con il luogo visibile ma dovendo aggiungere la somma delle idee trattate, delle persone presenti e ancora qualcosa in più, così è onnicomprensivo anche lo spirito che aderisce a questo posto: legato a ogni persona che costruisce Agape con il proprio servizio, le proprie idee e ancora qualcosa in più.
Da questo pensiero vediamo affluire l’illimitatezza di noi stessi: sentiamo di poterci fare coinvolgere nelle diverse realtà di Agape e in queste possibilità vediamo la promessa di poter essere noi stessi, cioè di realizzare noi stessi all’interno di una struttura che ce lo permette. In questi termini, la frase costitutiva di Agape, scritta nella Chiesa all’Aperto – L’amore non verrà mai meno (1Cor 13,8) – ci suona come la seducente promessa immensa e infinita di libertà. E ci godiamo questa libertà con tanti altri e tante altre, ci godiamo la piacevole rassicurazione che Agape è il nostro sogno, aperto alle nostre idee e alle nostre esigenze.
Quel sogno ci accoglie e comincia ad assorbire il nostro entusiasmo autocentrato. Pian piano capiamo che Agape non è il nostro sogno. È qualcosa di molto diverso e al contempo simile: è il sogno altrui. Con questa rivelazione la nostra esaltazione lascia spazio a qualcosa al di là di noi stessi e noi stesse: ci rendiamo conto della concezione utopica di Agape; cominciamo a vedere Agape come mezzo per una realtà oltre di noi. Ed è qui che la promessa di libertà cambia radicalmente: è ancora immensa, ma immensa nelle possibilità che richiedono il nostro impegno. È ancora infinita, ma infinita nei termini della nostra finitezza nel poter contribuire.
Più di voler essere accogliente per tutte e tutti, il concetto dello spirito di Agape comincia quindi a essere una chiamata all’ordine: cosa porto veramente ad Agape? Adatto Agape a un sogno mio e alle esigenze mie o mi adatto al sogno di Agape e alle sue esigenze? Il sogno di Agape non è più una fuga dal mondo, il posto per trovarmi ed essere me stesso, me stessa. Tuttavia sentiamo profondamente l’impatto di queste due domande sulla nostra esistenza, cambiano il significato che Agape ha per noi e ci cambiano la vita, perché cambiano la nostra prospettiva sul mondo.
Agape come mezzo: fede per chi crede e per chi non crede
Il più grande impatto di Agape lo vediamo nella persona di fronte a noi: non è più l’altro, l’altra ma è nostro fratello, nostra sorella, è nostra madre, nostro padre, è nostro figlio, nostra figlia. Vediamo agire questa persona e sappiamo che il suo agire è radicato profondamente in quello che non riusciamo a vedere – cerchiamo almeno di leggerla con questa ottica, sapendo che le nostre azioni sono le prime ad aver bisogno di una tale lettura. Sentiamo parlare questa persona e sappiamo che nel suo parlare risuona ciò che non riusciamo a sentire – proviamo almeno ad ascoltarla in questo modo, sapendo che le nostre parole sono le prime ad aver bisogno di un tale ascolto. Intravediamo la scelta di questa persona e sappiamo che le sue ragioni sono molto più ampie del nostro giudizio – vogliamo almeno valutarle con questa ragione, sapendo che le nostre scelte sono le prime da mettere sotto un giudizio clemente.
Tentando un tale punto di vista corriamo un rischio, perché questo ci mette in una posizione di debolezza. Fidandoci senza condizioni di una persona che non conosciamo, ci togliamo tutte le armi di difesa. Il nostro cuore aperto è la premessa per accogliere ciò che è nascosto, ma il nostro cuore aperto è anche una ferita: una volta aperto alla persona di fronte a noi non possiamo più chiuderlo. Siamo scoperti quando non si tenta di leggere la profondità delle nostre azioni, quando non si tenta di ascoltare la risonanza delle nostre parole, quando non si tenta di valutare le nostre scelte con clemenza. Questa debolezza però è indispensabile per un dialogo non legato al visibile ma al possibile, ci è richiesta in quanto la comunità di Agape si è creata con l’apertura dei nostri cuori, ci è permessa in quanto la comunità di Agape si è consolidata proteggendo chi apre il proprio cuore; e la comunità, costituita nuovamente in ogni singolo momento di debolezza, ci dà la forza di continuare e di offrirle il meglio di noi.
L’utopia per noi comincia a esprimersi nel nostro modo di guardare, ascoltare, valutare; tramite la nostra debolezza diamo possibilità a una realtà nuova: la fiducia nella persona di fronte a me diventa la fede che nel mondo viva il bene, la fede che la creazione sia voluta buona. E questa fede ci cambia la vita, perché ci dà un cuore nuovo, uno spirito nuovo: ci dà un cuor vivo (Ez 36,26). Permettendoci di vivere con questo cuor vivo e aperto, ferito e non difendibile, e accettando la nostra debolezza, la realtà nuova che creiamo in ogni momento diventa un mondo migliore. E dando questo contributo, credente o no, il Regno di Dio comincia a scintillare nel nostro amore e nell’amore altrui.
Agape come messaggio: speranza portata al mondo
Agape ha cambiato, quindi, il nostro punto di vista. Abbiamo anche scoperto che Agape ha un punto di vista proprio, condiviso: anche questo punto di vista è caratterizzato dalla tensione tra ciò che è visibile e ciò che non è visibile. Abbiamo visto che Agape, durante la propria esistenza, ha sviluppato un approccio verso le persone basato su quello che la persona porta in sé come potenzialità: ci rivolgiamo più a ciò che è possibile che a ciò che appare. Fidandoci della promessa e della possibilità del mondo migliore, dell’utopia, ad Agape sperimentiamo il tentativo di vedere in chi arriva la promessa di ciò che non c’è ancora.
Agape cambia il nostro punto di vista e, al contempo, ci fa sentire che il punto di vista su di noi è profondamente cambiato: Agape si è messo sul nostro cuore come un sigillo (Ca 8,6), ci ha messo in un contesto nuovo. Quel nuovo contesto, vedere nella nostra vita la possibilità dell’utopia, la scintilla del Regno di Dio, ci fa diventare un messaggio: non siamo più diretti a noi stessi, dirette a noi stesse, ma al mondo migliore; non siamo più chi siamo, ma chi possiamo essere. Troviamo le impronte di quel sigillo in noi e negli altri e altre e vediamo che queste impronte sono rivolte al futuro, al nostro e quello delle altre e degli altri.
Viviamo le impronte di Agape come un segno, un segno invisibile. Ci identifica come parte necessaria di una comunità: non siamo soli in quello che facciamo e non cerchiamo noi stessi e noi stesse in quel che facciamo, bensì gli altri e le altre. Questo segno ci identifica, però, anche come persone delegate di questa comunità: non facciamo quel che facciamo per noi stesse e noi stessi, ma per un futuro possibile, per una persona possibile, per un mondo possibile. Il segno di Agape ci chiama a rivolgerci non a noi o soltanto alla nostra comunità, ma verso qualcosa più grande di noi e della nostra comunità: l’impronta di Agape che ci ha segnato per tutta la nostra vita, che ha cambiato il nostro punto di vista, che ci ha permesso di vederci nelle nostre possibilità, è il messaggio che portiamo al mondo con piedi simili a quelli delle cerve negli alti luoghi (Sal 18,33). Vediamo che il sigillo non è soltanto sul nostro cuore ma anche sul nostro braccio, e capiamo che non abbiamo deciso di portarlo ma che siamo stati chiamati e state chiamate a vedere un mondo possibile.
Agape come obiettivo: l’amore nella comunità
Il mondo possibile, però, non esiste. Proviamo a dargli forma, luogo, visibilità nella nostra comunità, ma non esiste ancora. La nostra comunità, con tutto il suo entusiasmo, il suo amore, i suoi sogni, è realtà. È parte del mondo come tutto ciò che vogliamo far evolvere, tutto ciò che vogliamo superare, tutto ciò che vogliamo abbandonare. La realtà di Agape è fragile e noi viviamo in una realtà fragile anche se siamo indirizzati verso il mondo migliore. Dobbiamo reagire a questa realtà che non è l’utopia sognata, facciamo parte del mondo che non è il Regno di Dio.
Abbiamo visto, però, una scintilla di ciò che non siamo; abbiamo visto la città posta sopra un monte (Mt 5,14). Abbiamo visto la scintilla e ci siamo sentite chiamate e chiamati a cercarla, ad accoglierla nella fragile realtà di Agape. Quando ci siamo innamorati del sogno che unisce la comunità abbiamo accettato la promessa di cercarlo, di renderlo possibile. E questa promessa ci ha fatto nascere la speranza, una speranza delicata, che dobbiamo ritrovare ogni giorno di nuovo: che il fallimento, il fallimento continuo non ci allontana dal nostro sogno ma ci avvicina a esso.
Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante (Is 62,1): La nostra storia d’amore ha avuto un inizio, tanti inizi – ma una fine non ce l’ha. È diventata l’entità plasmante della nostra vita. Abbiamo sentito una chiamata e la seguiamo: fallendo, dovendo stare nella realtà e non nei nostri sogni, ma pieni e piene di amore per quello che facciamo, cercando di avvicinarci a quello che abbiamo visto insieme.
Agape: una storia d’amore
Ogni storia comincia con qualcosa. Con un momento, un pensiero, uno sguardo. Siamo arrivati ad Agape e abbiamo imparato a vedere il possibile, abbiamo trovato un posto che dava luogo a ciò che non aveva un luogo. Ad Agape abbiamo vissuto la testimonianza di un futuro da costruire, abbiamo visto una scintilla di un’idea grande che ci attira e abbiamo sentito lo spirito di una realtà possibile che ci spinge; ne abbiamo trovato tracce sui nostri cuori, abbiamo trovato un segno del Regno di Dio.
Sono tanti gli inizi che abbiamo trovato per cominciare la nostra storia d’amore con Agape e ogni inizio è prezioso in quanto ci ricorda in un solo momento tutto l’amore per questo posto e la sua comunità. È prezioso nei momenti pesanti, quando ci sembra di portare tutto il peso della realtà sulle spalle senza poter neanche immaginare un sollievo. È prezioso nei momenti di debolezza, quando ci sembrano infinitamente distanti il sogno che ci chiama e la nostra esistenza. È prezioso quando le tracce dell’amore nei nostri cuori sembrano soltanto ferite, quando la nostra chiamata sembra segnare non i nostri sogni ma la nostra vita.
Ha tanti inizi la storia d’amore con Agape. È una storia piena di fallimenti, di debolezza e di limiti. Ma abbiamo visto come il nostro fallimento si è trasformato in una nuova possibilità, abbiamo visto come la nostra debolezza ha rinforzato la comunità. E abbiamo visto che i nostri limiti non erano più barriere ma soltanto trapassi tra me e la persona di fronte a me, tra noi e la comunità. È in questi momenti che abbiamo visto veramente cosa sia possibile: che noi, nella nostra realtà, possiamo vedere oltre noi stesse e noi stessi, possiamo sognare per gli altri e per le altre, possiamo accogliere Dio – perché è Dio che ci ha accolto, nel nostro mondo, nella nostra comunità, e ci ha dato un amore, un amore eterno per abitare i nostri giorni ovunque ci chiami.
Malte Dahme
Sara Marta Rostagno
Direzione di Agape Centro Ecumenico