Il volontariato ad Agape tra servizio, formazione e internazionalità – Intervento di Sofia Vineis

Riportiamo l’intervento di Sofia Vineis in occasione dell’intervento on-line sul tema del volontariato per il ciclo di eventi on-line Agape Invita. E’ possibile rivedere l’incontro zoom sulla pagina facebook di Agape Centro Ecumenico.

La riflessione sul volontariato ad Agape deve necessariamente essere guardata attraverso una serie di temi; ed è importante tenere a mente che ognuno di questi temi ha una variabile costante, che è la soggettività. Agape è comunità, lo sappiamo. Ma è anche soggettività. Ognuno/a di noi ha vissuti e motivazioni diverse del suo essere parte di Agape. Durante un comitato avevamo avuto una discussione discretamente accesa con un direttore: il tema era proprio questo. Che cosa è Agape? Che cosa è per me Agape?

Io sono convinta che se ci facessimo questa domanda, avremmo risposte diverse tra loro. Che variano anche con il ciclo di vita, oltre che in base alle direzioni, al gruppo residente, al meteo, al mondo là fuori. 

Che cosa è Agape per me? Non saprei. E’ il mio posto. Ed è il vostro. E’ un luogo. E’ memoria. E’ dolore. Amore. Morte. Legami. Cultura. Malinconia. Ma è volontariato? Si dice che restituiamo ciò che abbiamo ricevuto.  Si parla di servizio. Servizio nei confronti di chi? A nome di chi? 

Mi sono sempre chiesta se sia così per tutti e tutte. Io per esempio non l’ho mai vissuto come una forma di volontariato; quella è una dimensione che sento quando sono in Croce Verde, oppure quando rispondevo al centralino di un Centro Antiviolenza. Se non è volontariato cosa è stato per me stare dentro ad Agape per questi trenta e passi anni? E cosa vorrà mai dire “stare dentro ad Agape”?

Molti parlano di famiglia. E in un certo senso ci sta, perchè in una famiglia condividi il linguaggio, le abitudini, gli spazi, le fragilità. E soprattutto alcuni parenti non te li scegli, ma devi per forza imparare a conviverci. Questo per chi è stato residente, campolavorista a lungo termine, o anche soltanto messo in stanza con la persona “sbagliata” è un tema.  Ragionando su Agape in quanto famiglia, a me viene in mente quella famiglia raccontata in alcuni libri o nei film, disfunzionale, con la zia pazza e il nonno alcolista. Fatta di grandi pranzi, di colpi di scena, di psicodrammi, di accoglienza ed esclusione. Di aneddoti imbarazzanti, di non detti, di regole, di dichiarazioni. Di rituali, di usi e costumi, di clichè, di certezze.  Anche Agape è fatta di queste cose. 

E allora cos’è che ci riporta sempre qui? Chi ce lo fa fare? Forse un senso di appartenenza? Di familiarità? Di condivisione? Credo che più che esplorare il concetto di Agape come famiglia, sia interessante ragionare su quello di familiarità, che può essere un paradosso se pensiamo a tutte le culture e le differenze che convivono (più o meno pacificamente) in questo luogo. Eppure.

C’è anche i tema degli affetti, ovvio. RIvedo i volti, ascolto le voci e torno lì. COme sentire una musica. Tra i temi accennerei anche a quello di luogo, inteso come contenitore, mura, struttura.  Ognuno di noi sa che tra quei muri incontrerà un modo di stare nelle cose che ci è familiare, indipendentemente da chi fisicamente sarà lì. Ed ecco che torniamo al concetto di familiarità. Inteso forse nel senso di prevedibilità? In effetti anche decenni dopo, quando entri nel salone di Agape, sai sempre più o meno cosa aspettarti.

Quanto conta il luogo nella scelta di prestare il proprio tempo ad Agape? E quanto conta il luogo nelle nostre memorie? Sarà forse per questo motivo che trasformarlo provoca così tanta reticenza ( e con trasformalo intendo sostituire le coperte del 15-18 con delle trapunte, tirare giù degli alberi pericolanti, intervenire sulle crepe e su questioni strutturali legate alla sicurezza, etc)? Perchè quello è un luogo di memoria? La memoria di chi?

Tra l’altro anche il luogo vissuto non è lo stesso per tutti. Se ci chiedessimo quali luoghi sono Agape per noi, credo che ascolteremmo tante risposte diverse. Il salone, casa residenti, il bosco, il prato davanti, le casette, il saloncino, il bar.

Agape per me è sicuramente esperienza. Relazione, certo. Spazi. Ma forse esperienza è la parola che sento di più ora. E l’esperienza è la cosa più soggettiva che c’è. Anche quando condivisa. Spesso pensiamo che le esperienze fatte ad Agape siano più o meno le stesse. Non è sempre vero. E questo ha a che fare anche la scelta di contribuire al lavoro di Agape e in che forma. 

Se io ho fatto un’esperienza positiva come precadetta, è più probabile che avrò voglia di vivere quell’esperienza anche da altri punti di vista (come staffista, per esempio). Se avrò vissuto delle settimane di campolavoro divertenti, coinvolgenti, emozionanti è possibile che io scelga di trascorrere più tempo ad Agape, magari come residente. Per cui direi che l’esperienza vissuta influenza decisamente la nostra decisione di continuare. Tornare. Servire.

Quante volte abbiamo parlato del fatto che alcuni campi adulti siano delle isole, slegate dal mondo Agape? E quanto tempo abbiamo speso per accorciare questa distanza? (ci siamo riusciti abbastanza, mi pare). Ora mi chiedo: nel loro essere isole, la forza generativa di questi campi può essere intesa come bacino di volontariato? Insomma, si può intendere volontariato ad Agape un volontariato speso all’interno sempre dello stesso campo (vedi i campi di genere)?

Questo ci riporta alla domanda iniziale: Che cosa è Agape? E di conseguenza che cosa è il volontariato ad Agape? Quanto la mia esperienza soggettiva, intrecciata ai luoghi, al tempo, ai temi, al periodo, influenza la mia scelta di fare volontariato ad Agape?

Alcuni di noi hanno trascorso parte della loro vita dedicando del tempo ad Agape, in forme diverse. Intrecci relazioni, costruisci memoria, acquisisci competenze. Cresci. E osservi le altre persone crescere, cosa che per quel che mi riguarda è sempre un grande privilegio (per esempio, guardare il video di Chiara, in un evento in cui Daniele modera, per me è la risposta a tutto). 

E’ un tempo di tregua. E’ un tempo di crisi. E’ un tempo di riflessione. Di costruzione. Di messa in discussione. E’ un tempo di significati. E’ un tempo di privilegio. 

La dimensione del tempo è affascinante, per me, proprio perchè è davvero molto soggettiva. Alcuni di noi hanno trascorso una vita ad Agape, altri soltanto qualche settimana. La quantità del tempo ne modifica la qualità?

Ci sono relazioni che ho vissuto ad Agape con persone con le quali ho condiviso due, tre settimane al massimo. Ma il fatto di aver fatto determinate esperienze (come la staff) insieme, ci ha permesso di costruire un legame che nulla a che fare con la quantità di tempo trascorso insieme. 

Allo stesso modo mi chiedo: è la quantità di tempo speso per Agape a fare di noi dei buoni volontari, o la qualità? E che cosa è un buono o una buona volontario/a?

Sempre riflettendo sul tempo, per molti Agape è Presente. L’esperienza contingente a un determinato periodo. Il volontariato all’estero. Le due settimane di cazzeggio con gli amici. Questo presente qui diventerà progettualità futura? E come possiamo favorirne il suo rigenerarsi?

A volte Agape mi sembra tanto Passato e poco Futuro. Inteso come il luogo in cui sono successe delle cose, più che il luogo in cui farne succedere altre, diverse. Può essere che siamo fermi in questo presente, fatto di tanto passato e poco futuro?

Forse una riflessione sul volontariato oggi ad Agape deve ripartire da qui.
Un tempo Agape poteva essere il luogo in cui sperimentare, incontrare nuovi mondi, ascoltare lingue diverse, entrare in contatto con culture, ideali.

Oggi forse è il luogo in cui fermarsi. Approfondire. Stare. Fare esperienza di un tempo presente, fatto di piccole cose e poche relazioni. A contatto con la natura, lontano dalla stimolazione continua di un mondo che di mondi ne offre troppi. Un antidoto al mondo di oggi, post pandemico, di solitudini e di individualismi.
Se rivediamo il senso di Agape, uscendo dal passato (ma non dalla memoria) e gettandoci verso il futuro, quale nuova forma di volontariato possiamo vedere? E se Agape viene intesa innanzitutto come luogo di esperienza di volontariato, non ha forse senso ripartire da qui? Quali esperienze cercano oggi le persone?

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.