Campo invernale: perché sempre film?

Guardare un film è così abituale da sembrare scontato. Eppure ogni volta che passiamo una serata davanti a una pellicola succedono tante cose: ci facciamo domande, pensiamo alla nostra vita, immaginiamo storie possibili anche se fantastiche.

Costruire un intero campo per adolescenti intorno a un film può sembrare un azzardo, ma è una sfida che permette di confrontarsi con la nostra fruizione quotidiana di forme d’intrattenimento. Questa azione critica porta a prendere in considerazione una varietà di temi difficilmente avvicinabili in un contesto diverso. Ogni film ha una propria voce, uno specifico punto di vista sul modo in cui alcune tematiche vengono narrate e quindi percepite dalla nostra società. Analizzando un film, quindi, non ci si pone solamente il problema del ‘Cosa’ ma anche del ‘Come.

L’ampiezza e la complessità dei temi che un film può offrire è particolarmente evidente durante la preparazione del campo che comincia sempre con un momento durante il quale ogni membro della staff mette in tavola le sensazioni e i significati che ha trovato nella pellicola. Questo lavoro di condivisione e analisi è molto importante, proprio per mettere in luce come un’opera artistica possa parlare in maniera diversa con ognuno di noi.

Questa modalità di costruzione del campo, nata come un esperimento, continua a dare ottimi risultati, soprattutto per la particolare struttura del campo invernale. Lavorare con un film permette di costruire un immaginario e un linguaggio comune più velocemente, di immergersi immediatamente nel cuore dei temi e di creare un percorso che seppur breve riesce a trovare sempre un punto d’arrivo. Quel che può variare è l’interpretazione che ciascuno dà allo stesso racconto.

Tra staff e campisti/e, durante un invernale, ci sono normalmente una decina d’anni di differenza di età ed è evidente che si abbia uno sguardo diverso sulla vita. Questo aspetto è la grande difficoltà e contemporaneamente la grande ricchezza del campo. Non sono molte, nella vita quotidiana, le occasioni che un adolescente ha di confrontarsi con degli adulti al netto di una sostanziale differenza gerarchica. E questo è altrettanto vero al contrario.

Così, per sei giorni l’anno, guardando lo stesso film e ascoltando la stessa storia possiamo incontrarci per riflettere e parlare alla pari della realtà attorno a noi, uscendone tutti e tutte arricchiti/e.

Quindi, squadra che vince non si cambia. Ci si vede, un film, il prossimo inverno!

Francesca Gatto e Jacob Zucchi
Staffisti del campo cadetti 3 – Invernale

Rubrica: la prima volta non si scorda mai

Foto di Michele Comba
Foto di Michele Comba

Dimenticati del concetto di vita “normale”, imposto da chissà quale autorità o istituzione o quant’altro, quando entri ad Agape.

Agape é il posto dove ti puoi spogliare di ogni blocco che ti è stato trasmesso; qui ti senti libero o libera di parlare senza provare il senso di giudizio, esiste l’accettazione di un’ idea differente confrontandosi con tante persone diverse fra loro.

Questo è ciò che ho provato al mio primo campo, il campo formazione che consiste nel formare e spiegare come funziona una staff ad Agape. Questo campo credo sia fondamentale considerando che essere uno o una staffista, da quanto ho immaginato, non è affatto semplice e si possono presentare problematiche non indifferenti. Tramite le attività è emerso che in una staff ci deve essere complicità, collaborazione, ascolto, aiuto ecc.. cercando di essere uniti e unite il più possibile.

In questo specifico campo il tema era quello della responsabilità quindi si è cercato di interpellare anche le nostre responsabilità che abbiamo nella vita. Ci siamo confrontati/e molto sia nelle attività sia negli spazi di pausa e relax, per me é stata una vera e propria apertura degli orizzonti.

Agape è un mondo dove non ho vissuto il giudizio e ho assaporato l’amicizia con persone conosciute anche da poco. In questo posto ci ho lasciato il cuore perché é uno dei pochi posti dove mi sono sentita libera di essere me stessa e protetta dalla discriminazione. Sono una ragazza albanese di 18 anni, e in quei giorni ad Agape non ho avuto timore di raccontarlo anzi ho vissuto questa mia diversità come una ricchezza.

Quando un cadetto diventa maggiorenne

Foto di Dominyka Kukuryté
Foto di Dominyka Kukuryté

Agapini, agapine, vorrei raccontarvi la recente esperienza alla quale ho preso parte, il Campo Campolavoro, o Campo Capolavoro, come mi piace chiamarlo.
Dovreste sapere che, quest’anno, nel CCL il sottoscritto era senza ombra di dubbio il più giovane, fresco dei suoi diciotto anni (e anche il più ingenuo, ma questi sono dettagli).
Mi è stato chiesto di fare un piccolo report per Immaginaria in quanto, essendo passato direttamente dal Campo Cadetti all’esperienza del Campolavoro, sono rimasto molto colpito da una realtà che ancora non conoscevo, nonostante i miei dodici anni di assidua frequentazione di Agape.
Quello che posso dirvi, rivolgendomi soprattutto ai cadetti e alle cadette che leggeranno questo numero, è che non c’è percorso più naturale e piacevole, all’interno della vita ad Agape, di quello campista-campolavorista. In parole povere, quest’esperienza mi ha profondamente cambiato, in particolare (ovviamente) nel modo in cui ho sempre visto Agape come centro ecumenico: passare dall’essere campista, cioè “utente” di Agape, all’essere un volontario, una di quelle persone che ad Agape hanno donato la propria voglia di fare, le proprie forze e le proprie passioni, come Agape ha donato loro la possibilità di conoscersi, di imparare e di collaborare, è stata una delle decisioni più naturali che io abbia mai preso.

Non conoscendo ancora nulla di questa faccia del mondo della nostra amata “borgata” – e senza la sicurezza di poter incontrare volti più noti che ignoti, come poteva avvenire durante i Campi Cadetti – ho deciso di iscrivermi al CCL e poi di trattenermi un’altra settimana nei dintorni di Ghigo di Prali per fare qualcosa della mia estate altrimenti priva di impegni.
Il tema del CCL di quest’anno era l’auto-organizzazione, una parola di cui chiunque conosce il significato ma della quale non tutti/e comprendono l’applicazione. Come a ogni campo, la staff ci ha accompagnato in questi sei giorni indirizzando le nostre attività e coordinandoci nei momenti di lavoro, così da poter avere sessanta efficientissimi/e campolavoristi/e in grado di aiutare la struttura dove più ce n’era bisogno.
Come a ogni campo, le attività di dibattito e confronto non sono mancate, tant’è che molti non riuscivano più a distinguere la fatica dovuta al lavoro manuale da quella dovuta al “troppo sforzare” le menti… ma quello che voglio raccontarvi non è solo questo. Vorrei raccontarvi di come, appena arrivato, senza neanche il tempo di rendermene conto, ho incominciato a riconoscere i volti di quelle persone che ad Agape ci sono sempre state, anche quando per me esistevano ancora i “luoghi proibiti” e la terza casetta era solo un miraggio.
Vorrei raccontarvi di come, dopo solo qualche giorno, l’autorganizzazione alla quale si aspirava era praticamente andata a farsi benedire, ma anche di come l’abbiamo recuperata con fare da maestri/e. Vorrei raccontarvi di come ho conosciuto qualche angolo di mondo per me troppo lontano spostandomi da casa mia soltanto con un’ora e mezza in macchina. Vorrei raccontarvi di come, anche se tutte persone adulte, un paio di regole qua e là fanno sempre bene, e di come infrangerle ti faccia sentire in colpa tanto quanto durante un campo cadetti/e. Vorrei raccontarvi di quante cose sono riuscito a rompere e di quante poche sono riuscito ad aggiustare, ma nonostante tutto, vorrei che qualcuno vi raccontasse di come il mio essere un poco incapace mi sia stato perdonato. Ma, se vi raccontassi tutto, potrei rovinarvi la sorpresa che troverete la prossima volta che verrete a vedere coi vostri occhi quello che capita al CCL.

Quindi, spero che questo piccolo report abbia funzionato da “aperitivo”, e che abbia stuzzicato la vostra “fame” e la vostra voglia di venire a scoprire che cosa vuol dire diventare parte del cuore pulsante di Agape, senza troppe pretese e con tanta voglia di fare e scoprire, perché da fare ce n’è – sempre e comunque – e da scoprire ancora di più.
Un consiglio? L’inglese maccheronico è il miglior modo per attaccare bottone.

Davide Mancini

Fare campolavoro accanto ai bambini

Per l’inizio del nuovo anno vi regaliamo un articolo uscito sull’ultimo numero di Agape Immaginaria in cui Laura, giovane campolavorista, racconta la sua esperienza di lavoro durante i campi per bambini.

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Foto di Michele Comba

Sono arrivata ad Agape una settimana prima dell’inizio dei campi dell’estate. Era la mia prima esperienza estiva lassù e, venendo da Torino, mi rilassava tanto: le montagne, l’aria pulita, il panorama e soprattutto la tranquillità e il silenzio; tutto ciò che si sentiva erano gli uccelli, le mucche e il vento. Poi, dopo una settimana, questo silenzio è finito: sono arrivati i bambini del campo Precadetti/e 2. Pensavo che loro e il rumore che facevano mi avrebbero spaventata ma invece no: finalmente ho potuto vedere Agape davvero viva, animata dal gioco e delle risate dei bambini.

Penso che Agape sia fatta per questo: un luogo per dare spazio a bambini/e e adolescenti ma non solo, dove grandi e piccoli/e possono esprimersi, giocare e trovare se stessi/e lontani/e dalla scuola, dai genitori e da tutto ciò che, a volte, lega o vincola…
Per questo mi è piaciuto fare campolavoro durante questi campi: ho visto la vita, la felicità e tutte le emozioni, senza filtro e senza maschere, sui volti delle campiste e dei campisti. A volte li ho sentiti parlare: stavano già pianificando l’estate prossima, per rincontrarsi tutti e tutte ad Agape e non vedevano l’ora di tornare in questo posto magnifico! Ciò mi ha reso felice: mi sono sentita un piccolo pezzo del “puzzle” enorme di Agape e ho avuto la possibilità di modellare e allestire un po’ della loro estate col mio lavoro, sapendo che alla fine di ogni campo c’erano tanti e tante che sarebbero tornati/e molto felici a casa.

Laura Donadio

La prima volta al GEF di Agape

Photo by Dominika Kukuryté

Sapevamo entrambe cosa fosse Agape, io (Silvia) più che altro per sentito dire, Micaela invece per aver partecipato, anni addietro, a un week end sulla Bioetica: tuttavia, il primo incontro con la Staff del campo Genitori e Figli/e ci ha colte di sorpresa: la loro curiosità di parlare con una “famiglia arcobaleno”, che proiettava sulla nostra pacifica domenica torinese l’ombra di un impegno lavorativo, si è trasformata in una bella giornata di mutua conoscenza e, a quel punto, scegliere di partecipare al campo estivo Genitori e Figli/e è stata un’ovvia conseguenza!

Così anche la nostra famiglia, fatta da noi due mamme e una “marmotta” di 3 anni, si è unita alle altre famiglie del campo. A vedere gli altri partecipanti, devo dire che sembrava che tutti si conoscessero da una vita, ma abbiamo presto capito che molte di queste relazioni venivano coltivate in quella sola settimana all’anno, di anno in anno … eppure, essere le nuove arrivate non ci ha fatto di certo sentire escluse, men che meno essere famiglia a modo nostro, tanto più che ogni altra famiglia era fatta a modo suo e, a suo modo, speciale.

Sarà che il tema della settimana era la fiaba, ma siamo tornate con la sensazione di una settimana magica, in cui tutti/e ci siamo trasformati/e in narratori, scrittrici, burattinaie e cantori. Di certo non ci si trasforma così da soli: è un lavoro che si fa insieme, tra le famiglie, con la Staff, i/le residenti e i/le ragazzi/e del campo lavoro che scuotono fin le serie mura di Agape: “insieme” potrebbe essere il “salva con nome” di questa esperienza, per usare un termine che ci ha regalato, insieme alla sua amicizia, Francesco del campo Gay.

Sarà che il tema della settimana era la Fiaba, e le fiabe finiscono, anche nelle lacrime versate al termine di quella settimana di rapporti così intensi, che non capitano mica tutte le settimane.

E le fiabe ricominciano: e allora ci si rivede, ancora insieme, al prossimo GEF.

Silvia, Micaela, Cecilia (Torino)