Un tuffo in Agape

1926629_10152346245826203_8661728972550823820_nA luglio mi son buttato. Dopo aver sentito parlare il mio amico Sandro per mesi e mesi delle esperienze da lui maturate ai campi gay organizzati al centro ecumenico Agape di Prali, ho deciso di raccogliere il coraggio, mettere da parte altre alternative più consuete per il periodo estivo e prendermi una settimana di ferie per verificare con i miei occhi quale fosse esattamente la realtà rappresentatami con tanto entusiasmo.
Con tutto il necessario scetticismo e con una decisa riduzione di aspettative. In fondo comunque si trattava di un periodo in montagna, almeno avrei respirato aria pura e fresca, vabbé, mi ripetevo.

Essere in una struttura valdese mi dava una rassicurante fiducia epidermica, di quelle emozionali, acquisita per proprietà transitiva. L’anno precedente sul Camino di Santiago avevo conosciuto Anna, di confessione valdese, una persona meravigliosa entrata di diritto nella mia “famiglia”, non quella di nascita, ma quella che ci creiamo naturalmente durante il percorso di vita. E quindi con i valdesi avevo già un piccolo legame emozionalmente confortevole, una sorta di conoscenza indotta.
Arrivato, nonostante i quasi cinquant’anni, ho provato comunque quel classico timore tipico degli adolescenti (che in fondo non ci abbandona per tutta la vita) quando si trovano davanti ad un ambiente non domestico, sconosciuto. Teoricamente confortato dalla presenza di tanti altri “ragazzi” omosessuali di tante età, e quindi con un minimo comun denominatore, ma contemporaneamente disorientato dalla loro specifica identità di persone.

“Poco a poco”, mi son detto, ed è cominciata l’avventura.

Dal titolo e dalla sintesi delle tematiche del campo era evidente che l’avventura non sarebbe stata leggera. “Corpo a corpo. La sessualità”. Da immaginarsi le barriere che immediatamente ho pianificato per non espormi, per proteggermi, per non farmi coinvolgere. Inutili da subito. I primi laboratori e le prime esperienze ci hanno messo immediatamente a contatto con gli altri, essere davanti alle stesse sollecitazioni ci ha fatto pian piano perdere quella diffidenza verso l’altruità e  aprirci offrendo all’esterno un po’ delle nostre emozioni, fossero queste diffidenza, paura o entusiasmo.
E’ stato un crescendo, un coinvolgimento sempre maggiore nelle esperienze proposte dalla Staff e vissute sempre più  intensamente. E, in maniera sorprendente, nonostante tutte le mie riserve e cautele iniziali, è venuta fuori questa voglia prepotente di mostrarmi agli altri per come sono, nella mia identità, o per meglio dire nel poliedro delle mie identità, di persona, di omosessuale, di soggetto di sesso maschile, di funzionario, di amico e quante altre ancora ce ne stanno, che fanno nel loro complesso “me”.
Una spontaneità difficilmente provata nella sua pienezza durante quella che mi verrebbe da chiamare la “vita normale”, intendendo con questa formula il quotidiano professionale, quello dello studio, o anche dello svago, dove spesso capita la sensazione di parziale accoglienza da parte degli altri, non necessariamente perché nascondiamo alcuni aspetti di noi per non esporci, ma semplicemente perché questi aspetti non vengono ascoltati, visti, e non dico compresi ma almeno rispettati con l’attenzione che meritano, e quindi ci risulta inutile condividerli.
Una spontaneità nella quale ho scoperto, o meglio riscoperto, lati dimenticati, quali la competizione (ma quella sana!) e il senso di appartenenza a una squadra, nei giochi serali, oppure nel bel laboratorio sul rugby. Qui  siamo stati messi davanti alla sfida con uno sport per noi nuovo, dove al timore reverenziale di una fisicità spesso mai esplorata, quasi negazione di una maschilità che invece ci appartiene profondamente, si è sostituito un entusiasmo strisciante che a fine giornata ci ha fatto sentire orgogliosi di aver abbattuto una paura, una resistenza, sebbene in un contesto “protetto”. Orgogliosi di aver scoperto delle capacità, entrando pian piano in un ambito considerato erroneamente estraneo, quasi vietato, più da noi stessi che dagli altri. E chi se ne frega dei lividi e di qualche bottarella, quando mai ci saremmo messi “in gioco” così, e soprattutto, quando mai ci saremmo messi davanti a noi stessi senza un autogiudizio immobilizzante?

Con la stessa spontaneità mi sono abbandonato al laboratorio sulla percezione di un noi futuro, di un noi anziano.  Costruire un’immagine di me fra trenta o quarant’anni è stato un inventarsi senza modelli, concedendomi, anche se con fatica, la possibilità di anni sereni e consapevoli. Una vera conquista.
Alla fine l”esperienza è stata unica. Ma fortunatamente ripetibile. Già dal prossimo anno.
In cambio del coraggio di affrontarla ne ho avuto un ritorno notevole: la maggiore conoscenza di me, il miglior rapporto con la mia fisicità, e, di sorprendente importanza, una consapevolezza meno grossolana delle identità degli altri, dei loro pensieri, delle loro emozioni, delle loro sofferenze.
Identità uniche e proprie, a volte solo sfiorate per una settimana, a volte da prendere per mano con la voglia di fare un pezzo di strada assieme, ma che comunque rimangono quali elementi di risonanza nel mio vivere, e mi fanno sentire, come poche volte, parte di un’umanità in viaggio.

Francesco Ginestretti

Vita di Agape tratto da una storia vera(mente) bella

Dopo aver vissuto due anni ad Agape ho pensato di scrivere questo articolo, cercando di rispondere alle frequenti domande poste sull’argomento “vita da residente”.
Stavo per iniziare a lavorare come pizzaiolo quando ho pensato che, prima di iniziare, avrei dovuto fare questa esperienza: quindi ho scritto subito la lettera, l’ho mandata ed è stata accettata: ho iniziato entusiasta!
Sta iniziando ora il mio terzo anno qui: è settembre ed è appena finita l’estate. Dopo aver lavorato incessantemente per tre mesi, è sicuramente un trauma vedere, da un giorno all’altro, Agape vuota: nell’aria si percepisce la malinconia, ma allo stesso tempo una contentezza grandissima, perché ho conosciuto persone provenienti da tutte le parti del mondo e visto andar via amici che non scorderò mai.
Adesso, dopo la partenza dei vecchi residenti e l’arrivo dei nuovi, ci dobbiamo preparare per l’arrivo dell’inverno che qui a Prali, oltre a essere molto freddo, è anche molto lungo: ci sono alcuni lavori da finire prima che arrivi il gelido inverno e la tanta neve. Abbiamo una riunione di una settimana per organizzare il lavoro e per far capire a tutti i nuovi residenti cosa faremo durante l’anno: scelta dei settori, scelta della staff per i campi, spiegazione delle norme antincendio in caso di necessità e dei lavori per casa residenti…
Non manca, però, il divertimento: facciamo un sacco di cose in gruppo e andiamo a sciare, visto che qui la neve è tanta e possiamo stare sulle piste da ottobre/novembre fino a marzo/aprile.
Svegliarsi la mattina qui ad Agape è una delle cose che amo di più di questo posto: basta mettere un piede fuori di casa e ti ritrovi davanti a uno spettacolo ogni giorno diverso e sempre più bello che non smette mai di emozionarti.

È facile pensare che qui, durante l’inverno, ci si annoi, ma non è affatto così: nei due anni che ho trascorso qui l’inverno è proprio volato, senza che io me ne accorgessi. Lo stesso discorso vale per la solitudine: è vero, a volte ci si sente soli, ma vi assicuro che dopo tre mesi di totale frenesia, un inverno trascorso in pochi non può che far bene. Non mancano i litigi e gli amori, le gioie e i dolori: sicuramente questa è un’esperienza che porterò con me per il resto della vita. Per questo, consiglio la residenza a tutti e tutte, almeno per due anni: questo perché durante il primo ti abitui alla vita di Agape e il secondo lo assapori fino in fondo; e se non sei sazio, fai il terzo e, così, ne esci a pancia piena e con un bagaglio stracolmo di esperienze!

La consiglio per chi vuole fare un’esperienza comunitaria, per chi vuole imparare l’inglese o altre lingue semplicemente parlandole, per chi vuole fare un periodo di volontariato un po’ più lungo del solito e per tutte le persone che amano questo posto e vogliono supportarlo offrendo il proprio lavoro a tempo pieno.

Danilo “Lillo” Galloro

La vita ad Agape

Pubblichiamo un articolo uscito sull’ultimo numero di Agape Immaginaria in cui Charlotte, diciannovenne tedesca, racconta la sua esperienza di un anno di residenza.

Foto di Dominyka Kukuryté
Foto di Dominyka Kukuryté

Ogni volta che ho provato a racontare ai miei amici e alla mia famiglia in Germania il luogo dove sono stata l’anno scorso, é stato molto difficile. Certo, si puo spiegare Agape semplicemente cosi: un Centro Ecumenico, a 1600m d’altezza nelle montagne, circa 5 minuti a piedi da Prali e 1 ora e mezzo di viaggio in macchina, oppure 3 ore in pullman da Torino. Di solito si pulisce e si cucina e per il tempo libero ci sono solo gli altri Residenti, un supermercato, un pub, una pizzeria e un sacco di neve. Ovviamente tutti mi hanno fatto domande come: “Ma non é noiosissimo lá su, povera?” o “Non ti senti sola tutto il tempo?”. Chi conosce Agape guarderebbe i curiosi con irritazione e forse li considerebbe con poco riguardo, ma bisogna pur essere indulgenti con chi non sa. Nonostante l’iniziale descrizione sia corretta, non é al altezza della idea di Agape e della sua veritá.

Non si é mai veramente da soli, se non si vuole esserlo e cosi non é per niente noioso. C’é sempre qualcosa da fare, sopratutto quando c’è un campo e ogni metro quadrato vibra di musica, di voci, di passi delle persone, di vita. Si lavora in gruppi, si supera il tempo con musica e con le chiacchiere, ogni lavoro è molto piu divertente quando viene condiviso con una persona simpatica. Oltre a lavorare c’é sempre anche il tempo per giocare, per festeggiare e per parlare ancora di piu.

Nel tempo senza campi, la vita é molto piu tranquilla, ma non meno emozionante. Il gruppo Residente é da solo ad Agape, si impara a conoscersi, si cresce insieme, si trovano nuovi amici, una nuova famiglia, si fanno molte esperienze nuove ed intanto ci si diverte un sacco con feste in maschera spontanee, serate film e cena con tutti quanti.

Agape é molto di piu, è difficile da capire e da spiegare a parole. Anche adesso che sono già tornata in Germania e ho iniziato a studiare, è ancora difficile. Ha qualcosa di tutti quelli che ci sono passati, che non ti abbandona mai, che ti fa sognare Agape, egualmente con occhi chiusi o con occhi aperti, qualcosa che non si puo dimenticare mai.

La cosa speciale é ovviamente la magia particolare del luogo, le montagne meravigliose attorno ad Agape, a volte spigolose e aguzze, a volte delicatemente ondulate, da metà ottobre ricoperte di neve, da fine maggio quando lentamente riverdiscono, e sono cosi splendide che in un anno non sono riuscita ad abituarmi a questa bellezza. Poi naturalmente la struttura, il Salone che é il cuore di tutto, dove c’è la vita mentre ci sono i campi, le casette e la casa residenti, dove ho vissuto e che in modo particolare definirei come il mio “a casa”. Ma la cosa veramente speciale che caratterizza Agape, sono le persone che ho incontrato, l’affetto, il fatto che tutti, indifferentemente dalla nazionalitá o dalla sessualitá vengono acettati senza complicazioni nella comunità di Agape, domina un consenso comune, come meglio non si potrebbe desiderare per tutta la popolazione del mondo. Questo spirito speciale influenza tutti quelli che si avventurano sul terreno Agapino, strappa un sorriso sulle labbra di tutti e fornisce la dose necessaria di coraggio e di consapevolezza nei cuori di tutti per poter parlare con altri, per conoscersi, per farsi coinvolgere nei discorsi e inoltre per ritrovare e ridefinire di nuovo. É questa atmosfera che regna tra i grossi muri di pietra e pavimenti di legno cigolanti, che rende così difficile spiegare Agape. Probabilmente nessuno riesce a trovare le parole giuste, si deve vivere quest’esperienza in prima persona, per capire il fenomeno di Agape!

Charlotte Lorenz