Tre mesi di campolavoro ad Agape

Photo by Michele Comba
Photo by Michele Comba

 

Dal primo di giugno fino alla fine di settembre siamo stati ad Agape come Campolavoro. Siamo Simon dal Belgio, Sara dalla Germania e Eugenia dall’Uruguay. Nonostante background e motivazioni differenti, abbiamo condiviso e trascorso questi mesi convivendo e diventando buoni amici, supportandoci all’interno della splendida ma un po’ complicata vita comunitaria di Agape. In questi tre mesi abbiamo lavorato, abbiamo stretto amicizie e le abbiamo viste partire, abbiamo fatto feste, gite in montagna, un sacco di scherzi, giochi, notti passate a guardare le stelle (il cielo stellato sopra Agape è meraviglioso), sudoku, caffè, danze, canzoni. C’era sempre la musica; dovunque qualcuno con cui passare un po’ di tempo; le montagne attorno, rendendo ogni singolo momento stupefacente.

Abbiamo avuto una parte di responsabilità nel lavoro di Agape, ovvero pulire, fare il servizio, fare caffè al bar e anche la manutenzione. Lavorare come responsabile di un settore è molto più arricchente che farlo come un campolavorista fra gli altri: era per noi un incentivo ad arrivare in orario e a metterci dell’impegno, così il lavoro aveva più senso! Avevamo modo, così, di stabilire un maggiore contatto con i campisti e le campiste, fossero adolescenti o persone adulte: questo era possibile soprattutto lavorando in Servizio, che consiste nel preparare la tavola prima dei pasti e lavare le stoviglie. Siccome ogni giorno un gruppo diverso di campisti e campiste aiuta il campolavoro in questo settore, è stato molto divertente conoscere tutte queste persone anche attraverso il lavoro comune: in più è stato divertente coordinare una settimana un gruppo di adolescenti e la successiva “ciurma di lavaggio” di adulti. Quasi tutte le settimane c’era una serata di giochi per conoscersi a vicenda o per parlare di alcuni argomenti o per condividere opinioni personali.

Abbiamo avuto la possibilità di seguire dei campi: Simon ha partecipato al Campo Gay, che è stato meravigliosamente diverso da quello che si aspettava: alla fine di ogni giornata, per esempio, c’era un piccolo momento spirituale, che egli ricorderà per tutta la vita. Eugenia ha seguito il Campo Politico e Sara il Campo Teologico. Possiamo davvero dire di aver trovato, in qualche modo, ciò che cercavamo. Per Simon, che era già stato ad Agape in inverno e a Pasqua, quest’estate è stata come voltare pagina e trascorrere un po’ più di tempo con i residenti con cui ha stretto una bella amicizia. E siccome ognuno è sempre un po’ in cerca di se stesso/a, alcuni di noi hanno ritrovato loro stessi/e qui ad Agape, nel modo in cui volevano profondamente, una strada difficile con una bellissima destinazione.

Ora che inizia l’autunno, con un po’ di distanza possiamo dire che ne sia valsa la pena. Quest’esperienza ci ha insegnato un sacco di cose, anche su noi stessi/e: ne siamo usciti/e più forti. Quindi se qualcuno sta pensando di fare campolavoro per tutta l’estate, rispondiamo “fallo, è fantastico!”

Simon Geeraert (Belgio), Eugenia Benech (Uruguay), Sara Richter (Germania)

Tradotto dalla redazione di Agape Immaginaria.

A casa lontano da casa

 

In vista dei preparativi per l’estate agapina, pubblichiamo l’articolo di una ragazza che ha partecipato ai campi internazionali dell’estate 2012 grazie al progetto scholarship di Agape.

Photo by Michele Comba
Photo by Michele Comba

Sono membro del Freedom and Roam in Uganda e sono venuta come rappresentante della mia organizzazione ai campi di quest’anno di Agape Centro Ecumenico.

Devo dire che mi è piaciuto il soggiorno ad Agape. Il mio più grande problema è stato al giorno d’arrivo: spero solo che migliori indicazioni possano essere date a chi dovesse partecipare ai campi, soprattutto se dovesse essere la prima volta che vengono invitati ad Agape. Ma mettendo questo da parte, mi è piaciuta la diversità tra i partecipanti ai campi. Avere così tante persone provenienti da diverse nazioni è stato molto significativo. Mi ha dato differenti punti di vista da tutto il mondo. E anche se potrei offendere qualcuno, mi aspettavo di rimanere un po’ in disparte, un po’ a causa del colore della mia pelle, un po’ a causa della mia identità sessuale. Sono invece rimasta sorpresa. Mi ci sono voluti appena un paio di giorni per ambientarmi. Mentirei se non dicessi che avevo nostalgia di casa, ma dopo aver fatto amicizia, mi sentivo a casa lontano da casa. Mi ricordo in particolare la gita in montagna. Avevo giurato che non sarei andata, ma per fortuna ho ceduto alla grande insistenza di qualcuno che non voglio nominare. E’ stata una sfida arrivare in cima, ma per qualche ragione tutti hanno cominciato semplicemente a far coppia e sono salita fino in cima con gente stupenda. C’era il problema della barriera linguistica e delle differenze di età e cultura, ma tutti hanno provato a capire me e io loro; devo ammettere che ho incontrato persone stupende e posso onestamente dire che ho creato dei legami duraturi.

Non sono una persona molto religiosa e mi ero prevenuta nella mia mente e nel mio ordine di pensiero rispetto a tutto quello che sarebbe avvenuto durante il campo. Ma il programma era strutturato in maniera tale che anche io ho potuto imparare qualcosa. Al posto di lezioni sulla Bibbia, c’erano discussioni intellettuali che mi hanno permesso di aprire la mia mente ai punti di vista di persone sia religiose sia non così tanto religiose che hanno partecipato ai campi. Si è discusso anche di misticismo e di essere attenti a tutte le cose e tutte le persone che ci stanno intorno, in modo da non essere concentrati solo su se stessi.

Da Agape vado via con la capacità non di criticare ma piuttosto di rispettare e analizzare. Il lavoro anche è stato divertente, non appena ho trovato quello che faceva per me. Ogni volta che ci si fermava per caffè e sigarette durante le pause avevo la possibilità di interagire con più persone. Il campolavoro mi ha insegnato il valore della disciplina: difficile o facile che sia, il lavoro va fatto. Ed anche se qualcun altro può averlo già fatto (al posto tuo), lo scopo principale rimane quello di apprezzare il valore del lavoro duro e anche dello spirito di squadra. E non dimentichiamoci del cibo. In qualche occasione proprio non mi piaceva probabilmente perché era straniero al mio palato o perché non era preparato come sono abituata, ma ho apprezzato lo sforzo che è stato fatto per cucinarlo. In più di un’occasione invece era delizioso, abbastanza da farmi avere sempre il sorriso in faccia e aver preso cinque chili. Mi ricordo della sera dedicata a barbecue. Me la ricorderò per sempre.

Alla fine ero triste di partire, ma ringrazio per la generosità, la comprensione, la pazienza e il tempo che ci sono voluti per accettarmi così come sono. Ho imparato molto dai campi tanto che sono tornata a casa e l’ho condiviso con gli amici e colleghi della mia organizzazione. Spero che anche loro possano dargli il valore che gli do io.

Grazie a tutti.

Janice Babirye Kirabo, tradotto dalla redazione